E’ troppo presto per dire se Il Santo sia il più bel disco di Federico Sirianni. Forse sì. Ma occorrerà ancora un po’ di tempo perché le impressioni si sedimentino e risulti chiaro quali e quanti pezzi diventeranno classici nel repertorio del musicista genovese trasferito a Torino. Classici per le esibizioni dal vivo, ma anche per le hit parade private dei fan.
Quarto album per Federico Sirianni
Una cosa si può già dire, comunque. Il Santo (che esce a tre anni di distanza da Nella Prossima Vita) è sicuramente il lavoro più intenso e articolato di Sirianni.
In linea generale il cantautore è definibile come colui che si guarda intorno e poi racconta ciò che ha visto. Può farlo in modi diversi, dal didattico al messianico, dall’ombelicale all’autocelebrativo, dal distaccato allo straziato. Sirianni lo fa… alla Sirianni e lo fa con una maturità e una saggezza finora mai raggiunte.
Il Santo può essere considerato un disco a tema dedicato a quello stato d’animo contemporaneo descrivibile come “o tempora o mores”. Ovvero quasi tutto ciò di cui oggi si parla nei bar (“Con tutti ‘sti negri…”), nei convegni seri (“La cultura è la prima vittima della crisi economica”) e persino negli incontri amorosi (“Caro, adesso non pensare al referendum”). Nel corso di 12 canzoni Sirianni dice che non c’è da stare allegri e a tratti dipinge un mondo davvero plumbeo, dove la bellezza è confinata in spazi sempre più piccoli: “La mia vicina suona l’arpa e ha un balcone che fiorisce a un suo segnale/ Ma è tutto intorno che appassisce, tutto intorno che c’è odore di letame”.
Il Santo: uno sguardo chiaroscurale sul mondo
Altrove invece emerge un punto di vista più sereno e più corrispondente a un’attitudine che vuole essere comunque positiva (quantomeno in chiaroscuro) nei confronti della vita: “Benedetta sia la verità se la verità è dolore/ Benedetto sia l’incanto, benedetta l’espiazione/ Benedetta la complicità che unisce le persone”. Dunque uno sguardo vitale nonostante tutto. Se il cielo non è sempre più blu, come diceva Rino, almeno è “color anice”.
La musica è in perfetta sintonia con questa visione. Dove occorre esprimere sentimenti più privati viene scelta l’essenzialità di voce e pianoforte. Altrove, e sono i momenti più affascinanti, esce allo scoperto il Sirianni in sintonia con l’Internazionale dei visionari da bettole e ore piccole come Nick Cave, Calexico e soprattutto Tom Waits. La chitarra elettrica di Eugenio Odasso fa scintille nella notte insieme al banjo di Luca Swanz Andriolo con grandi risultati. Santa Maria Dei Mesi e Il Campo Dei Miracoli (con testo alla Ballard, nientemeno) sarebbero perfetti nel repertorio dell’alcolico maestro californiano.
Dunque tutto bene articolato, come si diceva, e al tempo stesso tutto spontaneo. Si diceva anche dei brani destinati a diventare classici. In scaletta c’è un titolo che sembra centrare poco con il resto e figura infatti come bonus track: Mia Madre Sta Su Facebook (cantata a due voci con Arturo Brachetti). Scommettiamo che fra poco ai concerti cominceranno a chiederla tutti?
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