Tornano i Foals con What Went Down, seguito di Holy Fire.
Holy Fire, pubblicato nel 2013 ha ufficialmente catapultato i Foals nell’olimpo delle band indie rock. Album assieme rock, funk e punk, di rara intensità, scritto con l’intento dichiarato di trarre ispirazione dalla follia artistica di Van Gogh, nume tutelare del frontman Yannis Philippakis, difficilmente avrebbe potuto essere seguito da un nuovo lavoro altrettanto ispirato.
What Went Down, il nuovo album dei Foals, annunciato e atteso da tempo, disvelato interamente lo scorso 28 agosto, risente di questa pesante eredità ed è quindi difficile, specie se si è molto amato Holy Fire, accostarvisi con fredda oggettività.
Le prime tracce pubblicate negli scorsi mesi, What Went Down and Mountains At My Gate, nonchè la più recente Knife In The Ocean, al primo ascolto mi avevano lasciato un po’ perplessa e mi è stato davvero necessario ascoltare l’album nella sua integralità per riuscire a darne un giudizio oggettivo.
Le undici tracce che si snodano in 48 minuti hanno un appeal che solo a tratti riesce ad eguagliare l’intensità di Holy Fire, ma quando l’intento è raggiunto mettono davvero in luce le potenzialità della band inglese.
https://www.youtube.com/watch?v=iuQQIawCqBA
I Foals in buona forma
La title track, per esempio, ci regala la voce rabbiosa di Philippakis che emerge da un turbinio di riff di chitarre e sonorità noise e distorte. La stessa rabbia ricompare in Mountains At My Gate mentre Snake Oil mescola linee di basso e riff di chitarra a fare da contrappunto al testo sulfureo di Philippakis: “You sell snake oil to the sinners / When all they crave is just to be free / It’s a wild tease, tease me with nothing better / Nothing better, slower than me”.
Fra le altre tracce più riuscite segnalo Lonely Hunter e Albatross: la prima, la mia preferita dell’intero lavoro, si segnala per un attacco estremamente riuscito e si dipana poi facendo pensare davvero alla lunga cavalcata di un cacciatore solitario; la seconda (a detta dello stesso Jimmy Smith, chitarrista della band, una delle composizioni musicalmente più interessanti del gruppo) scandisce con un ritmo martellante un testo straniante e poetico assieme.
Un disco con alti e bassi
Knife In The Ocean, accompagnata da un video apocalittico, non è da meno: si snoda in crescendo e non fa venire meno le ambizioni di partenza del gruppo che con questo album si proponeva di “arrivare al limite e toccare gli estremi”. Altri episodi ci riescono meno e sono un po’ troppo pop e leggeri per competere con le migliori cose dei Foals. Birch Tree e Give It All, per esempio sono un lontane dalle consuete profondità e intensità a cui ci ha abituato la band ed è per questo che il giudizio finale resta un po’ sospeso fra l’eccellenza e la sufficienza.
Un album comunque da sentire.
7/10