Alessandro Monti

 Alessandro Monti e i suoi fantasmi sonici

Un secolo fa Franz Kafka, in una lettera alla sua fidanzata “virtuale” Milena Jesenska, scriveva che la comunicazione epistolare “è un trafficare coi fantasmi, e non solo col fantasma del destinatario ma anche col proprio, che si sviluppa nella lettera che stiamo scrivendo”. Cosa penserebbe del modo in cui ci relazioniamo oggi, attraverso la rete? Eppure questa comunicazione fra fantasmi ci ha consentito di non isolarci troppo e di trovare conforto durante un periodo difficile come quello del primo lockdown. Quando ho ascoltato questo lavoro di Alessandro Monti, ultimato proprio grazie al tempo libero di quei lunghi mesi, ho pensato che fosse attraversato da una vera e propria parata di spettri digitali.

Dopo i dischi come Unfolk Alessandro Monti si presenta a proprio nome

Alessandro incide il primo album a suo nome nonostante abbia già alle spalle una lunga esperienza come musicista e produttore (ricordiamo il progetto Intonarumori). In passato si è espresso soprattutto utilizzando l’alias Unfolk, un progetto che lo ha portato a collaborare con diversi altri artisti e a tracciare un suo personale percorso al confine fra stili diversi: rock, avanguardia, ambient, world music, classica contemporanea… Abituato al contatto fisico, sia con gli strumenti che con gli altri musicisti, si è cimentato qui con una modalità di lavoro affatto inedita. La maggior parte dei suoni che ascoltiamo in Monti, con l’eccezione delle chitarre, proviene da dei file scaricati da Looperman, un sito che mette a disposizione dei samples sonori gratuiti, molto usato soprattutto in ambito hip hop. Alessandro lavora più sulle armonie che sui ritmi, tratta e assembla i campioni con un lavoro certosino e registra il tutto con un software open source. Il risultato è una collaborazione fra fantasmi. Monti scrive di aver avuto l’impressione di essere un ospite nel suo stesso disco, forse il fantasma di se stesso di cui parlava Kafka? L’effetto sull’ascoltatore è altrettanto straniante.

È riduttivo affibbiare un’etichetta a un artista così originale ed eclettico, tuttavia non ho potuto fare ameno di ripensare a quella che a metà anni novanta venne definita ambient isolazionista. Qui ci sono brani introspettivi, dalla struttura fluida e impalpabile, ma non emotivamente neutri come nell’ambient music tradizionale, bensì carichi di turbamenti. Quale periodo più del lockdown può spingere un compositore ad ascoltare e a dar forma alle ombre della propria coscienza?

I brani dell’album

Nel disco aleggia un’atmosfera malinconica e indolente, ma anche la sensazione di una minaccia indefinita che incombe, come un presagio. L’esile intelaiatura dei pezzi è affidata spesso ad accordi aperti di chitarra acustica, avvolti da un pulviscolo digitale di suoni indefinibili. Da questo pulviscolo prende forma e poi viene riassorbita, nell’iniziale Turning of a Wheel, una canzone folk dolce e visionaria, che accarezza lo shoegaze più etereo e romantico, ad esempio gli Slowdive di Dagger.

In Lowtech Montage, divisa in tre parti, si alternano accordi di pianoforte trattati con effetto drammatico, suoni ovattati con sembianze di ectoplasmi, un ipnotico ritmo trip hop, una sequenza minimale di organo elettrico alla Terry Riley, soffi che paiono il respiro di una creatura misteriosa, echi di voci lontane.

Inteference and dissonance è imperniata su riverberi e sibili.

Let the Ocean In è un lungo drone di rumore bianco, strati di suono si sovrappongono in un wall of sound che sa essere sia epico che malinconico. Si percepiscono in maniera quasi subliminale accordi solenni di organo; una voce che sembra voler comunicare da un’altra dimensione ci invita a lasciar entrare l’oceano. Il tutto culmina in un feedback e sfuma poi in un quieto finale, con arpeggi di chitarra turbati  da improvvise bordate noise.

Seven and Seven Was potrebbe essere la colonna sonora di un noir surreale.

La conclusiva We Are the Guest Stars è il pezzo più vicino ad una canzone rock tradizionale, l’unico con il contributo di ospiti in carne ed ossa: Daniele Principato alla chitarra e sintetizzatore e Franco Moruzzi alla batteria. Il ritmo è incalzante, la melodia accattivante per quanto visitata dalle solite “presenze” evocate attraverso la rete.

Alessandro sostiene che questo potrebbe essere il suo ultimo album, anche se sono già pronti alcuni progetti che lo vedono come collaboratore. Questa dichiarazione suona come una minaccia, ma se rischiamo di perdere un ottimo musicista e compositore, siamo almeno certi di aver trovato uno scrittore altrettanto ispirato. Nel corposo volume Riproduzione casuale. Sistemi d’ascolto non lineari il nostro traccia con competenza, passione ed ironia un affascinante tragitto fra dischi e generi musicali diversi È un invito a riscoprire la curiosità ed il piacere della scoperta, una guida utilissima a districarsi nel mare magnum degli innumerevoli possibili ascolti che la tecnologia oggi ci offre.

Alessandro Monti - Monti
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Nasce a Savona nel 1966 e per il momento ancora vive. Ascolta musica voracemente e ne scrive a tempo perso. Ad una certa età pensa di sentirsi troppo vecchio per continuare a comprare dischi, ma rinsavisce in fretta e torna sulla retta via. Lavora come infermiere in terapia intensiva e durante la pandemia la musica lo aiuta a pensare a qualcosa che non sia il Covid-19.

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