AM The Car

Settimo, atteso e già discusso: The Car esce oggi e consacra gli Arctic Monkeys.

Preceduto da esibizioni live e da un lento discoprimento con la pubblicazione di There’d Better Be a Mirrorball, Body Paint e, appena tre giorni fa, I Ain’t Quite Where I Think I Am, il nuovo disco degli Arctic Monkeys, The Car (Domino Recording Company), è finalmente uscito. Segue dopo quattro anni Tranquility Base Hotel & Casino, il loro album più divisivo, ma certamente non per me, che l’ho amato moltissimo, e nemmeno per TomTomRock, dato che si era piazzato in testa alla classifica del 2018. C’è da dire che Alex Turner & Co. sono riusciti a creare qualcosa di nuovo con ogni disco, evitando il rischio di fossilizzarsi nello stesso suono, ma rispetto ad AM, il disco che li ha portati al massimo del successo, la svolta è stata notevole. Per fortuna gli artisti migliori seguono la propria strada e non i desideri dei fan, e non c’è dubbio che, come compositore, Alex Turner sia tra quelli.

Le fasi della composizione

The Car è accompagnato da una bella copertina, una foto di un’auto solitaria in un parcheggio altrimenti vuoto, realizzata da Matt Helders a Los Angeles. È stato scritto da Turner a partire dal 2019 nella sua casa-studio di Los Angeles, provando poi a registrare i risultati con la band e il fedelissimo produttore John Ford, e con in mente un suono più chitarristico di TBHC. Tuttavia, queste prime sessions hanno dato pochi frutti. Nuove composizioni solitarie l’anno successivo, tra pianoforte e chitarra, certo favorite dalla pandemia, e nel 2021 una nuova riunione più fruttuosa che ha portato gli Arctic Monkeys, insieme ai musicisti ospiti Tom Rowley, Loren Humphrey e Tyler Parkford, in diversi studi fra Suffolk, Parigi e Londra. Accreditato al solo Turner per quasi tutti i brani, come d’abitudine peraltro, il disco è stato arrangiato per le orchestrazioni da lui stesso e da Bridget Samuels. Insomma, un lavoro stratificato, per una quarantina scarsa di minuti e dieci pezzi complessivi.

The Car e il rinnovamento degli Arctic Monkeys

Rispetto al precedente, The Car propone gli Arctic Monkeys a un nuovo stadio della loro carriera. Come i primi singoli hanno mostrato, non siamo lontanissimi da TBHC e dai dischi dei The Last Shadow Puppets, ma non poche sono anche le differenze. There’d Better Be a Mirrorball, che apre, è forse il brano più immediato del disco: racconto di una separazione, forse momentanea forse no, è languido nel cantato e nell’esecuzione. Nella successiva I Ain’t Quite Where I Think I Am i “disco strobes” richiamano la “mirrorball” della canzone precedente, su un funk-soul delicato, tra Al Green e David Bowie ca 1975, complice il falsetto che domina qui e in buona parte di The Car. Inattesa, Sculpture of Anything Goes, ha un suono cavernoso, come una versione lenta e solenne di Do I Wanna Know da AM, mentre Turner si vede “performing in Spanish on Italian TV / Sometime in the future” – cosa che non mi dispiacerebbe affatto.

A questo punto è chiaro che gli Arctic Monkeys non sono in cerca di facili soluzioni: intendiamoci, The Car è melodicamente ricchissimo, però senza piegarsi alla canzone tradizionale (versi, refrain ecc.), ma con una forma compositiva fluida, che ha bisogno di qualche ascolto per essere penetrata.

Jet Skis on the Moat è di nuovo plastic soul, lento e avvolgente. Poi arriva Body Paint, posta al centro del disco, che ormai penso sia una delle canzoni migliori della band; il finale è un’apoteosi, e nelle prime performance dal vivo rende al meglio.

La seconda parte di The Car

La seconda parte è quella completamente inedita e sorprende. La title-track con arpeggi punteggiati da basso e batteria gode di arrangiamenti orchestrali bellissimi e di un a solo di chitarra in chiusura: anche qui è difficile seguirne la struttura che non cambia molto, ma attraverso gli arrangiamenti si ottiene il crescendo necessario. Big Ideas è “quite a number to sing”, come canta Turner in apertura, molto Bacharach, armonicamente ricca e melodicamente tra i momenti migliori. Di nuovo la chitarra solista punteggia in chiusura l’orchestra sullo sfondo. Hello You è ritmata, più al modo dei The Last Shadow Puppets che non dei “vecchi” Arctic Monkeys. Mr Schwartz è di nuovo un highlight di un disco che ne ha molti; parte con un arpeggio e poi si apre con un sottofondo bossa nova omaggio dell’eccellente Matt Helders, bellissimi arrangiamenti orchestrali e un Alex Turner in stato di grazia. Chiude la breve Perfect Sense e “that’s what it takes to say goodnight”.

I testi di Alex Turner

Turner, messa da parte l’ispirazione retro-futurist di THBC, in The Car propone alcuni fra i testi meno lineari della storia degli Arctic Monkeys. Se la musica è emozionale, i testi non lo sono, e sembrano alludere piuttosto a uno stato di confusione permanente:

I had big ideas, the band was so excited / The kind you’d rather not share over the phone / But now the orchestra’s got us all surrounded / And I cannot for the life of me remember how they go

canta in Big Ideas.  Senso di spaesamento che accompagna un disco tutt’altro che facile, sotto l’apparenza di suoni e arrangiamenti curatissimi, ma un nuovo gioiello per la band dal nome più improbabile (consapevolmente) della storia del pop.

Arctic Monkeys - The Car
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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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