Tornano i belgi Balthazar in chiave pop-soul.
Tomtomrock apprezza da sempre i belgi Balthazar. Il precedente Thin Walls si meritò, nel 2015, una recensione entusiasta e da allora abbiamo seguito con attenzione (e ottimi voti) i side-projects dei due leader Maarten Devoldere (come Warhaus) e Jinte Deprez (con il nome di J. Bernardt.).
Se il primo può essere considerato ballatista midtempo dalle modalità un po’ oscure, il secondo è più interessato alla canzone in chiave elettronica. Il ritorno dopo oltre quattro anni alla sigla Balthazar con Fever prometteva dunque meraviglie.
Le canzoni di Fever
La title track Fever funziona bene sia come singolo sia come canzone d’apertura dando la misura di quello che sarà l’album, tra pop, soul, funk elegante e maggiore percussività (quasi alla Young Fathers) rispetto al passato .
L’atmosfera rilassata, energica e positiva non sempre si adatta a dovere allo stile balthazarista. Changes, ad esempio, è all’insegna di un funk piacevole ma devitalizzato da voci in falsetto. Le cose funzionano meglio quando entrano in scena archi fra Medio Oriente e blaxploitation (Wrong Faces), toni disillusi e notturni (Whatchu Doin’) oppure il funk-soul trascolora in una dimensione tra il decadente e il trasognato (Entertainment). Ovvero dove si ritorna alle situazioni sonore di Thin Walls e dall’ancora precedente Rats.
Il disco prosegue in questa doppia dimensione alternando episodi dove le superfici sono così levigate da far scivolare via l’attenzione (I’m Never Gonna Let You Down Again) e altri dove prevale uno spirito dark (in versione più serale che notturna). Ad esempio Grapefruit richiama il miglior Marc Almond con meno pathos e più distacco mentre Roller Coaster fa pensare ad assenzio e Oscar Wilde. A metà strada si pongono il pop inquieto di Wrong Vibration e le modalità da soul ballad di You’re So Real.
I Balthazar di oggi
Chiaro che i Balthazar odierni hanno scelto di essere più abbordabili che in passato e lo hanno comunque fatto in bello stile. Si può dire che Fever faccia prevalere Curtis Mayfield su Leonard Cohen e che questo potrebbe giovare alle quotazioni commerciali della band. C’è molta attenzione al dettaglio e i suoni sono definiti perfettamente. Ma ai Balthazar farebbe bene anche un tocco di imperfezione. Come a quasi tutti, peraltro.
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