Barry Gibb & Friends – Greenfields: i prati sempreverdi dei fratelli Bee Gees.
Parlare dei Bee Gees, oggi, significa prima di tutto riannodare i fili nostalgici di un periodo irripetibile, quello segnato dai sogni in vinile che hanno scandito la colonna sonora di almeno tre generazioni, compresa la mia. Perché tre sono anche i diversi periodi che cadenzano a suon di 45 giri da (alta) classifica la lunga carriera di un sodalizio familiare indimenticabile, ovvero prima, durante e dopo la febbre – non solo del sabato sera –, quando i fratelli Barry, Maurice e Robin trasformavano in oro tutti i pentagrammi che toccavano.
Fino a giungere, nel periodo di maggior successo, ovvero alla fine degli anni settanta, a piazzare ben cinque singoli usciti dalla loro penna nelle prime dieci posizioni delle charts. C’erano i Bee Gees, in quel periodo, poi tutti gli altri. Anche se il genere “disco”, all’interno del quale i tre fratelli – erroneamente – furono inseriti, rimase vittima dell’inquisizione dei puristi con i danni che ne sono conseguiti, tra roghi e settorializzazioni imposte tra “buona” musica e no.
Tra la country music e l’infinito
Barry, l’unico rimasto dei quattro fratelli, tre dei quali prematuramente scomparsi, non ha perso la voglia di mettersi in gioco. Alcuni mesi fa, quando suo figlio Stephen gli ha fatto ascoltare un album di Chris Stapleton, il “fenomeno” country del momento, Barry è rimasto notevolmente impressionato dal suono, il cui artefice risponde al nome di Dave Cobb, una garanzia per gli addetti ai lavori. Lo ha cercato, lo ha trovato e l’idea è nata quasi per caso: rivestire alcuni classici dei brothers Gibb di sonorità country, a lui molto care. Non dimentichiamo che nel songbook dei Bee Gees figurano collaborazioni con artisti del circuito nashvilliano, in primis Islands in the Stream, un singolo portato al successo da Dolly Parton e Kenny Rogers nel 1982 e poi inserito nell’album di quest’ultimo, interamente composto dai tre fratelli: Eyes That See in the Dark, perfetto esempio di country pop con melodie da cristallizzare al primo ascolto.
Barry Gibb & Friends – Greenfields: un progetto riuscito a metà
Il progetto, dobbiamo dire, riesce a metà. Quella buona ci dice che le canzoni dei Bee Gees suonano ancora attualissime, non solo grazie alle belle interpretazioni, condivise con Barry, di alcuni tra i migliori artisti della scena country-bluegrass. No, suonano ancora attualissime perché sono ormai da inserire nel grande libro dei classici della musica pop: I’ve Gotta a Message To You (con Keith Urban, nonché Mr. Kidman), Too Much Heaven (con Alison Krauss), How Deep Is Your Love (con Tommy Emmanuel e i Little Big Town), How Can You Mend a Broken Heart (con Sheryl Crow, una delle migliori del disco), To Love Somebody (con Jay Buchanan).
A giudizio del sottoscritto la più bella delle 14 tracce (nell’edizione deluxe, che ne conta due in più) è Rest Your Love On Me (con Olivia Newton-John), che davvero si trasforma in un ballatone strappalacrime in stile Nashville grazie a un ritornello assassino (“Lay your troubles on my shoulders / Put your worries in my pocket / Rest your love on me”). E pensare che all’epoca era il lato B del 45 giri Too Much Heaven… Poi divenne un singolo interpretato da Andy (il quarto fratello, “fuori dal gruppo”) e dalla stessa Newton-John. La metà meno buona ci dice che Cobb sembra affetto da timore reverenziale: non osa, il suono è poco cristallino, talvolta un po’ impacciato, teme l’orizzonte e resta nei ranghi di un barocco che nulla vuol togliere agli originali ma che purtroppo poco o nulla aggiunge. Peccato. Però la speranza di un passo in avanti c’è ancora, non per niente il titolo dell’album specifica che si tratta del “volume 1”: di classici i Bee Gees ne hanno talmente tanti da potersi permettere un’enciclopedia discografica. Noi attendiamo, speranzosi.
Be the first to leave a review.