Viagra Boys – Welfare Jazz

Bella sorpresa dai Viagra Boys: Welfare Jazz.

Può sembrare macabra ironia affidare il compito di far due chiacchiere sul disco di una band denominata Viagra Boys ad un ultrasessantenne. Ma, aldilà delle fin troppo facili battute, Welfare Jazz ha davvero una certa qual funzione “rivitalizzante”. Etichettato comunemente sotto la voce “post-punk”, ombrello sotto il quale da tempo si riparano realtà e tendenze diversissime fra loro, il gruppo di Stoccolma merita senz’altro qualche parola in più. Non che il punk sia assente: se ne ha un sentore anche abbastanza forte in certe dominanti ritmiche “martellate” e anche nell’ironia corrosiva di molti dei testi.

Viagra Boys – Welfare Jazz
Rough Trade – 2021

Ma nel disco c’è molto di più, in una amalgama quasi sempre riuscita che mostra come le molteplici influenze siano state ben digerite. L’elettronica la fa da padrone manipolando con i suoi effetti – echi, riverberi e chi più ne ha più ne metta – il suono di pressoché tutti gli strumenti, a cominciare da una batteria che suona talvolta quasi come una drum machine per non trascurare neppure la voce umana. Unico strumento ad essere relativamente immune da queste “trasformazioni” è il sassofono, che rende quel “jazz” presente nel titolo non un semplice nome, ma una esplicita ammissione di una delle tante “influenze” del disco: e neppure la meno evidente.

Influenze e canzoni

Ain’t Nice e Toad si reggono su una ritmica e una voce “rabbiose” che ricordano certe sonorità degli Algiers, pur senza averne la matrice direttamente “politica” dei testi e la seconda si avvale anche degli inserti di un sassofono quasi “free”. Into The Sun inizia come un blues acidificato portato avanti con una voce rauca sul sottofondo di una ritmica lenta ma inesorabile: anche qui fanno capolino degli Algiers appena un po’ addolciti. Creatures ha un andamento quasi dance, ma il riferimento più evidente sono, a mio modestissimo avviso, piuttosto i Talking Heads di Remain In Light; anche la voce si addolcisce e David Byrne non è poi così lontano. Shooter, quasi interamente strumentale – con l’eccezione qua e là di sporadici e breve “inserti” parlati – inserisce all’interno di una ritmica quasi hard rock interventi di un sassofono anche stavolta “free” e in certi punti sembra quasi di sentire l’Archie Shepp di Attica Blues o perfino certi echi dell’Art Ensemble of Chicago: forse uno dei brani più interessanti e originali del disco.

 

Secret Canine Agent unisce una ritmica e una “filosofia” punk – anche per la sua brevità – a sonorità Talking Heads ad alto tasso di elettronica mentre in I Feel Alive un andamento marziale viene contrappuntato da svolazzanti interventi di flauto e di pianoforte. In To The Country il “marziale” prende un tono quasi epico, anche stavolta evidenziato dagli interventi del sax e dal “recitativo” che a tratti si sostituisce al cantato. In Spite Of Ourselves (cover omaggio a John Prine) si presenta quasi come una ballata country, anche per merito della seconda voce femminile e del fatto che l’elettronica e gli effetti si fanno abbastanza da parte per fare posto ad un suono inizialmente più “pulito”, per riapparire poi massicciamente nella seconda parte del brano.

Giudizio positivo su Viagra Boys e il loro Welfare Jazz

In conclusione, un disco tanto eclettico quanto coerente e ben caratterizzato, che ha come collanti fondamentali l’uso “jazzistico” del sax – che in Girls & Boys sfodera sonorità che richiamano perfino il Dana Colley dei Morphine, pur all’interno di un contesto assai diverso – e la voce di Sebastian Murphy: spesso rauca e “arrabbiata”, ma talvolta calda e profonda, specialmente – ma non solo – nel frequente uso degli inserti recitativi.

Viagra Boys – Welfare Jazz
8 Voto Redattore
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“Giovane” ultrasessantenne, ha ascoltato e ascolta un po' di tutto: dalla polifonia medievale all'heavy metal passando per molto jazz, col risultato di non intendersi di nulla! Ultimamente si dedica soprattutto alla scoperta di talenti relativamente misconosciuti.

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