Recensione: Benjamin Biolay – Grand PrixUniversal Music Division Polydor – 2020

Benjamin Biolay da Palermo Hollywood a Grand Prix.

Avevamo lasciato Benjamin Biolay con Volver a metà strada fra l’immersione argentina di Palermo Hollywood, non apprezzata da tutti i fans ma a parere di chi scrive eccellente, e il ritorno verso suoni più ‘europei’. Poi ci sono stati gli impegni cinematografici, ma anche oltre due anni di lavoro per scrivere e realizzare il nuovo disco, Grand Prix, che decisamente prende la sua strada e ci dà una ennesima nuova versione di Benjamin Biolay.

Un nuovo disco di orientamento pop-rock

Grand Prix con riferimento alle corse automobilistiche, come mostra la foto vintage della copertina e la grafica della pubblicità. Biolay le utilizza come metafora della vita, magari un tema non originalissimo, ma qui svolto con piglio tra il divertito e il malinconico, e comunque riuscito.  Musicalmente, il disco muta scenario rispetto agli ultimi due, ma nemmeno torna al passato. In una intervista recente, Biolay dichiarava il suo amore per il rock degli Strokes, e Grand Prix sicuramente ne risente sui brani veloci dai riff di chitarra nervosi.

Benjamin Biolay – Grand Prix

Tuttavia, Grand Prix resta un disco prettamente francese, come si evidenzia già a partire dal cantato: non solo per la lingua, ma anche per i toni che sono quelli della chanson e non del rock. Il risultato è originale e spesso trascinante.

Grand Prix a tutta velocità

I punti di forza di Benjamin Biolay su Grand Prix sono infatti i brani in cui questo mix più risalta, ossia quelli veloci che costituiscono oltre la metà del disco: Comment Est Ta Peine?, Visage Pâle, Idéogrammes, Comme Une Voiture Volée, Papillon Noir, Virtual Safety Car, Où Est Passée La Tendresse? sono quasi tutti potenzialmente dei singoli. Comme Une Voiture Volée in particolare si presta a essere una delle canzoni dell’estate. Non mancano le ballate, che il pubblico di Biolay si attende, e che almeno nel caso di Vendredi 12 e La Roue Tourne sono pure di ottima fattura, ma come detto il merito di Grand Prix risiede altrove.

 

Aiuta il fatto che il disco sia ottimamente suonato: ritmica e chitarre non lasciano respiro. A questo si aggiunge che Benjamin Biolay è un bravissimo artigiano dei suoni, che si arricchiscono lì dove serve di archi, tastiere, pochi fiati, tutto senza esagerare. Un occhio agli anni Ottanta, proprio come gli Strokes della maturità, aiuta: a volte le tastiere richiamano persino i Duran Duran.

Benjamin Biolay, Grand Prix e la musica francese

Da non sottovalutare anche le capacità compositive del nostro, che ha alle spalle anche una lunga esperienza di produttore di dischi altrui. Lì dove molti dischi pop-rock sono già fortunati a mettere insieme versi decenti con un hook che si ricorda, qui ne abbiamo a profusione, arricchiti da bridges e variazioni continue. Sotto la vivacità del disco c’è la nota inquieta dei testi, dove anche i tradizionali temi degli incontri romantici recano il segno dell’invecchiamento e della morte, come nella title track. Un disco per l’estate malinconico, se vogliamo, ma anche un disco che reggerà alla prova del tempo e che consegna Benjamin Biolay all’olimpo della musica francese, con un consiglio di ascolto anche al pubblico italiano.

Benjamin Biolay – Grand Prix
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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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