Ristampa del ventennale per un bel disco del maestro folk Bert Jansch.
A inizio anni ’80 Bert Jansch pare finito. Se la storia del rock abbonda di musicisti incapaci di reggersi in piedi su un palco, Jansch nemmeno riesce a reggersi seduto. Eppure in quei concerti che potrebbero essere solo penosi la maestria strumentale a volte guizza sublime, come un flash del passato o di qualche neurone sobrio, e la voce biascicata (ma lo era anche nei gloriosi Sixties) ha il suo modo di essere comunicativa.
La rinascita di Bert Jansch dopo anni bui
Verso la fine della Lost Decade – altro che il Lost Weekend di Lennon e Nilsson – il musicista scozzese decide che è meglio vivere di noiosa acqua che morire di suadente alcool e inizia la sua rinascita. A poco a poco il suo nome ridiventa importante, riverito addirittura, non solo nell’ambito folk che gli aveva dato gloria con i Pentangle, ma anche in quello rock. Non sono solo i suoi coetanei come Neil Young a cantarne le lodi, a definirlo il Jimi Hendrix della chitarra acustica, ma anche nuovi tipi trendy quali Bernard Butler (ex Suede) e Johnny Marr (ex Smiths) lo definiscono maestro impareggiabile. E ai suoi concerti si fanno vedere i giovani del mondo indie.
All’alba del nuovo secolo Jansch ha 57 anni e Crimson Moon è il disco con cui si presenta ufficialmente in questa sua nuova, autorevole dimensione. Non a caso la prima stampa esce in una confezione che comprende un bonus cd intitolato The Best Of Bert Jansch.
Atmosfere e repertorio di Crimson Moon
Crimson Moon, oggi ripubblicato con nuova copertina e per la prima volta anche in vinile, è un lavoro sommesso, rilassato, accogliente. A tratti si siede un po’ fra i cliché del blues, salvo rialzarsi grazie a vecchie, fosche ballate (la ripresa di Omie Wise dal repertorio Pentangle) o alle memorie dei giorni epici e fumosi dei folk club londinesi (October Song della prima Incredible String Band). E certe composizioni originali, come Fool’s Mate, The River Bank o la title-track, hanno la magia misteriosa del repertorio migliore. Ê un disco in cui Jansch, dopo aver sfiorato l’uscita di strada, viaggia sicuro, e a velocità controllata, al centro della carreggiata. Lo si percepisce anche un po’ stupito di questa sua nuova autorevolezza, come se facesse finta di nulla o la cosa non gli importasse troppo. E bravi sono i già citati Butler e Marr a intervenire con rispetto, senza volere, o potere, cambiare alcunché di importante (guardateli nel video qui sotto).
Forse per via del titolo, Crimson Moon non può scintillare come altre opere del lungo catalogo janschiano; ad esempio come l’altro album con la luna nel titolo, il sottovalutato, quasi arcano, Moonshine. Per non parlare del primo, eponimo album o di Jack Orion o di L.A. Trunaround o di Avocet. Si tratta comunque di un disco che suona fuori dal tempo, difficile da datare per chi poco conosca l’artista. A pensarci bene è anche difficile dire che effetto faccia Jansch a chi lo incontri oggi per la prima volta. Chi scrive lo ascolta da un numero imbarazzante di anni (e possiede un numero imbarazzante di sue incisioni) e vorrebbe che tutti lo amassero. E si emoziona sempre nel raccontare la sua musica.
P.S. In occasione del Record Store Day dello scorso agosto la Earth Records ha pubblicato Live in Italy, testimonianza di un concerto di Bert Jansch con il sodale di arte e bevute Martin Jenkins a Mestre nel 1977. La scaletta è piacevole e interessanti risultano soprattutto le stesure ancora non definitive dei pezzi che finiranno due anni dopo su Avocet. Solo discreta la registrazione e sbagliata la copertina con riproduzione di una cartina della Venezia lagunare.
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