Brian Eno – FOREVERANDEVERNOMORE: sensazioni
Proprio ieri sera guardavo la serie britannica “I sopravvissuti” del 1975. Spento il televisore per andare a dormire, nel dormiveglia, avevo ancora incollata addosso la sensazione assai disturbante che pervade ogni scena. Incredibilmente attuale e, per questo, ancora più spaventosa. Ho impiegato un po’ per relegare l’interferenza nella finzione del telefilm e staccare il fastidio epidermico per riuscire ad addormentarmi. Il timore di una realtà distopica, inconsciamente, mi accorgo, non è poi così lontano, anzi è appollaiato come un gufo su un albero, quasi tutti i giorni. Il periodo storico che stiamo attraversando non è il migliore che abbia visto da quando cammino su questo pianeta meraviglioso. L’elenco delle sventure lo conosciamo tutti.
There Were Bells, la canzone e il video
La presentazione del singolo There Were Bells, inserito nel nuovo album di Brian Eno, FOREVERANDEVERNOMORE, è stata realizzata ad agosto durante l’esibizione dei fratelli Eno all’Acropoli di Atene, mentre scrivo scorre il video e avrei voluto esserci, in quel momento gli incendi stavano devastando il paesaggio appena fuori dalla città e la temperatura toccava i 45 gradi.
“Pensavo, qui siamo nel luogo di nascita della civiltà occidentale, probabilmente ne stiamo assistendo alla fine”, questa l’introduzione di Brian Eno alla perfomance.
Il primo ascolto approfondito di Brian Eno – FOREVERANDEVERNOMORE
Non mi aspettavo nulla di preciso da questo disco, avevo visto distrattamente il video del singolo, ma senza soffermarmi in modo particolare, solo all’uscita ufficiale del disco ho inserito la prima traccia Who Gives A Thought e mi sono messa in ascolto, completamente. Brian Eno è uno dei miei artisti preferiti, lo seguo da una vita e sono curiosa di capire cosa ha concepito, proprio ora, come essere umano/artista, dalle esplorazioni creative sempre molto personali, che vive in questo pianeta incasinato.
A differenza degli ultimi suoi dischi, qui, dopo diversi anni, Eno canta. Ed è proprio questa la differenza sostanziale, che ho accolto senza riserve, non è più sufficiente creare atmosfere sonore metafisiche e suggestioni emotive dove perdersi, l’urgenza del messaggio ha un valore primario e diventa preponderante rispetto alla musica di Brian Eno che ci aspetteremmo: la situazione planetaria che coinvolge tutti, dentro e fuori, ci sta sfuggendo di mano. I testi sono essenziali, criptici a tratti, ma per chi è in grado di “sentire” assolutamente chiari.
Una cattedrale sonora
Siamo in una cattedrale sonora, dalle volte geometriche tanto alte da non sembrare quasi di fattura umana, con fasci di luce che passano attraverso le vetrate e l’eco di una funzione religiosa, interiore, invisibile che si espande nello spazio e non c’è posto per altro. Mantra, musicali e vocali, a volte quasi ansiotici e dissonanti tra loro, insieme a bagliori di guerra, terrificanti, o altri di speranza di un mondo “altro”, se sarà possibile costruirlo, e nomino uno su tutti We Let It In, con la voce femminile, anch’essa quasi non umana della figlia Darla che, a ripetizione, verbalizza poche parole sovrapposte a cori angelici.
L’ultimo pezzo, Making Gardens Out Of Silence, chiude il disco con sonorità dell’Eno che riconosco di più, lo sento come la celebrazione della vita e della speranza, dal silenzio, forse, potremmo essere ancora in grado di costruire una dimensione migliore? O rimarremo così folli da diventare i sopravvissuti della nostra stessa realtà? Un disco importante dal punto di vista concettuale, ma che, rispetto ad altro che conosciamo, lascia maggiomente in secondo piano, credo volutamente, l’aspetto sonoro. 7,5 per le scelte musicali, 9 per il messaggio che vuole trasmetterci.
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