In Heartmind il complicato Cass McCombs sceglie di essere caleidoscopico
In occasione dell’uscita di Mangy Love (2016) parlammo di Cass McCombs come di un personaggio difficile, sfuggente e perennemente in giro per la vastità degli States. In ogni caso, all’epoca, quel disco piuttosto ”quadrato” aveva rappresentato un’apertura, sia pur relativa, al facile ascolto. Questa volta il cantautore senza fissa dimora, ma segnalato soprattutto tra Baltimora e gli stati a nord della California, ci offre un disco vario e complesso, una summa della sua ricerca ormai ventennale. McCombs in questo lungo arco di tempo, ha spesso meravigliato, ma forse non ha mai prodotto un disco ‘’definitivo’’.
Heartmind: un pot-pourri di stili
Il contratto con la ANTI- comunque lo ha spronato e, con Heartmind, è riuscito a radunare una serie di canzoni molto diverse l’una dall’altra, in una varietà che può disorientare. Ma la scaletta cresce con gli ascolti, suscitando interessanti riflessioni, azzardati paragoni e qualche perplessità. Come coniugare, per esempio, l’inizio spigoloso della potente Music Is Blue, con l’allegro brano pop, non a caso titolato Karaoke, che la segue? Proseguendo, il sole di California (una delle residenze di McCombs) ispira la dolce New Earth, ma subito arriva una seria riflessione sui reduci delle molte guerre americane, ovvero la bella Unproud Warrior, che si pone al livello del Jackson Browne più sincero, sia per la musica che per l’argomento.
Cass McCombs e il capolavoro che ancora non arriva
In un continuo variare di atmosfere si trova anche un esotico simil-reggae come Krakatau (probabilmente intitolato al vulcano indonesiano), il momento meno convincente della selezione. I tre brani che chiudono il disco hanno, ancora, differenti personalità: prima McCombs prova, con A Blue, Blue Band, un bizzarro incrocio tra Caraibi e Nashville, con tanto di cori, steel guitar e controvoce; poi si concede una Belong To Heaven che lancia citazioni verso certe atmosfere di confine, tra David Lindley e Warren Zevon. Il disco si conclude con l’epica, sdrucciolevole title-track che, se ci sforziamo molto, sembra proprio evocare la possibile evoluzione sonora di un genio come Elliott Smith, non fosse andata come sappiamo. Heartmind (ANTI-) è un ottimo disco, eclettico e coraggioso, ma non ancora il capolavoro che ci si aspetta…
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