Cosa pensare di Cass McCombs?
Il rinomato Cass McCombs è un tipetto presuntuoso. Si può ribattere che a un bravo musicista certi modi d’essere vanno perdonati. (Però, tanto per dire, Leonard Cohen parlava di sé con molta autoironia. Ed era Leonard Cohen.) Il problema è che il bravo musicista McCombs probabilmente si crede un genio. E un genio non può avere mezze misure. Lui non è prolisso, è ampio. Lui non è dispersivo, è multifaccettato. Più o meno lo stesso problema di ego ingombrante di Father John Misty o Sun Kil Moon.
Indiscutibile comunque che Cass McCombs eserciti su molto pubblico e molta critica il fascino del personaggio introverso-complesso tanto che il suo nono album, Tip Of The Sphere, ha raccolto numerose recensioni positive. Non mancano comunque le voci perplesse. Tomtomrock, se non si fosse già capito, sta con la minoranza dubbiosa.
La scarsa vivacità di Tip Of The Sphere
L’iniziale I Followed The River South To What mostra quale sia il problema fondamentale dell’intero lavoro. Sette minuti abbondanti in cui la musica non avanza, gira in cerchio e fa sprofondare l’ascolto nel maelström della noia. Più o meno si va avanti così fino alla fine, anche se, come nel racconto di Poe, ogni tanto spunta qualche botte a cui aggrapparsi per risalire – solo temporaneamente – il gorgo. Sleeping Volcanoes ammicca al groove marpione dei Dire Straits (McCombs con la fascia intorno alla testa tipo Mark Knopfler? Magari), mentre Estrella e Tying Up Loose Ends accendono lumini di calore emotivo destinati purtroppo a spegnersi subito.
Paradossalmente, alcuni dei momenti più convincenti arrivano con le parti strumentali: il finale di Real Life fa pensare alla ambient astratta degli Oregon, mentre la lunga jam che chiude Rounder è coinvolgente nel suo andamento anni ’70. In realtà non è questo che davvero interessa sentire da parte di qualcuno che si presenta come cantante-autore di canzoni. E comunque il precedente Mangy Love suonava meglio strutturato.
La scarsa comunicativa di Cass McCombs
McCombs non dialoga con l’ascoltatore, non si mette mai in gioco, a differenza di suoi colleghi musicalmente affini quali Phosphorescent o Iron & Wine. Di sicuro si tratta di un atteggiamento intenzionale che pare regali grandi soddisfazioni a chi sappia scalpellare le canzoni-roccia dell’artista. Ma chi non ha i muscoli motivazionali per farlo dopo pochi colpi prova la sensazione di sprecare tempo e fatica. Un ultimo, strascicato ascolto non porta grandi mutamenti, anzi induce a una triste considerazione: se proponessimo Tip Of The Sphere a uno dei molti sostenitori dello scarso interesse della musica odierna non faremmo che corroborare la sua opinione. Per fortuna abbiamo Deerhunter, Sharon Van Etten, James Blake…
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