Ezra Furman e il disco dove tutto funziona perfettamente: All Of Us Flames

Che potesse contare su una considerevole riserva di pallottole d’argento da sparare, a corredo di una ben tornita pistola musicale, Ezra Furman lo aveva fatto ben capire, negli anni più recenti, a chi avesse avuto orecchi per ascoltare e anche occhi per leggere. Gli ultimi lavori, discontinui talvolta, spesso ricchi di spunti, non di rado puntati nel nulla ma non di meno indicativi di una creatività inquieta e non doma, lo avevano fotografato in costante transizione fra modi, mode, forme musicali e stili. Anche questo per chi avesse avuto voglia di grattare la facciata glitter (e fra costoro, e se ne pente, non si può annoverare chi scrive).

Il cammino verso All Of Us Flames

Gli esiti, va da sé, non sono sempre stati omogenei o in equilibrio. Pregevolissimo, raffinato e divertente, Perpetual Motion People (2015), era gemma che avrebbe potuto concepire un piccolo Bowie di provincia nella sua cameretta, invaghito di young americans e degli anni Cinquanta, e contava su un dittico di chiusura formidabile: Can I Sleep In Your Brain?, a metà fra i Beatles e una soul ballad e con un testo disperato e bellissimo di scissione e solitudine, e la asciutta e severa ballata dai sapori roots One Day I Will Sin No More.

Non si può dire lo stesso di Transangelic Exodus (2018), complessivamente deludente, fra accelerazioni noise e gusto di spezzare le linee melodiche con intemperanze ed accelerazioni, se non fosse che la stupefacente bellezza di Psalm 151 (godere del testo, chi può, grazie) obbligava a sospendere il giudizio. Ed era un bene, perché Twelve Nudes (2020) è, nella brevità dei suoi ventisette minuti, una scheggia punk rock acuminata, un omaggio ai Ramones più tesi e, con In America, al songwriting più duro e impietoso che abbiamo imparato ad aspettarci dai menestrelli d’oltreoceano.

L’album più bello di Ezra Furman?

In questo nuovo All Of Us Flames (Bella Union), con uno scarto qualitativo impressionante rispetto al passato, funziona tutto. Chi scrive non è, per sua natura, troppo sensibile a ricercare stimoli nella scrittura delle nuove leve musicali. Un po’ per pregiudizio (in parte motivato), un po’ perché (chi scrive) è fatto male ma è fatto così. Però, tirato per la giacchetta a chinare la testa sui testi – memorabile, il gioco di parole – di Ezra, deve ammettere che il piacere che se ne ricava ripaga dell’andar contro per una volta alla propria natura. In All Of Us Flames troverete grandi canzoni, che si appoggiano sulla capacità di Ezra di  tirar fuori da un pozzo sepolto purissime linee melodiche che incorniciano storie e racconti di un’America antica, di oggi e di sempre, intrisi di dolore e di solitudine, di straniamento e abbandono, di marginalità e fragile voglia di riscatto, da far pensare (che Iddio mi perdoni, se c’è) alla penna di Carver.

Gli architravi che sorreggono il mondo musicale di Ezra sono i più ricchi di sempre e si fondono come mai prima: gli umori spremuti da Neil Young e Lou Reed, da Bob Dylan, dai Credence Clearwater Revival o dalla Band si alternano in questo avvincente, stropicciato e scuro taccuino americano, agli angoli corrosi del quale si scorge il sorriso addolorato ed enigmatico di Daniel Johnston, che fa capolino finanche nella voce.

 

Le canzoni di All Of Us Flames

Le pallottole di Ezra Furman, che questa volta sono d’oro, dopo l’ammaliante power pop di Train Comes Through che apre il disco, si concentrano tutte nella seconda parte: dilatate, suadenti e, lo ammetto, non di rado stupefacenti. Il punto più alto All Of Us Flames lo regala con la splendida Point Me Toward The Real, morbida ed impastata ballata clinica, impossibile sogno psichiatrico di rivincita che sprofonda nel dolore. Ma subito dopo è la volta della toccante Ally Sheedy In The Breakfast Club, che sembra uscita dallo stesso cappello di alcune delicate fantasmagorie folk di Lou Reed, nostalgico atto d’amore verso un’attrice ed un film che parvero descrivere una generazione e che oggi sembrano foto sbiadite di un tempo remoto e incomprensibile. E dopo ancora Temple Of Broken Dreams, dolorosa e tesa riflessione sui brandelli di identità e di anonima solitudine con cui ciascuno costruisce la propria vita. Straordinaria poi I See The Truth Undressing in cui, almeno a chi scrive, sembra si riversi tutta l’acida, corrosiva malinconia di quello sghembo menestrello che fu Daniel Johnston.

Chiude il dolce miracolo di Come Close, omaggio struggente (e splendidamente scritto) ai rapidi e mai più incontrati fantasmi di una gioventù ormai passata; ai Troy, con cui si è avuto un rapido approccio in macchina e di cui resta solo il ricordo di un bacio ruvido;n agli Stephen, che quel bacio cercavano e hanno avuto in cambio una stretta di mano. Disperati, perduti, ma non scomparsi, appesi ovunque attorno a noi, nella nostra memoria, con la loro solitudine. Per loro e per tutti noi, in Temple Of Broken Dreams, Ezra canta: “So let’s organize our lives around love and care / write each other letters and call it prayer / Let’s meet up in a place that isn’t anywhere / At the temple of broken dreams”.

Ezra Furman - All Of Us Flames
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Ha iniziato ad ascoltare musica nel 1984. Clash, Sex Pistols, Who e Bowie fin da subito i grandi amori. Primo concerto visto: Eric Clapton, 5 novembre 1985, ed a seguire migliaia di ascolti: punk, post punk, glam, country rock, i pertugi più oscuri della psichedelia, i freddi meandri del krautrock e del gotico, la suggestione continua dell’american music. Spiccata e coltivata la propensione per l’estremo e finanche per l’informe, selettive e meditate le concessioni al progressive. L’altra metà del cuore è per i manoscritti, la musica antica e l’opera lirica. Tutt’altro che un critico musicale, arriva alla scrittura rock dalla saggistica filologica. Traduce Rimbaud.

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