Robin Pecknold reinventa i Fleet Foxes con Shore.

In copertina rimane scritto Fleet Foxes, ma questo disco è stato realizzato da Robin Pecknold in quasi totale solitudine, senza i soliti musicisti che, in qualche modo, fanno parte del gruppo. Nonostante ciò, Pecknold ha pubblicamente esteso i suoi ringraziamenti verso i preziosi collaboratori, confermando che lo accompagneranno successivamente dal vivo. Inoltre Shore esce ad una distanza relativamente breve da Crack-Up, vista la lunga carriera delle ‘’volpi’’ e i pochi dischi usciti finora.
Il seguito di Crack-Up
Crack-Up era un disco denso e maturo che forse segnava la conclusione di una fase ben precisa. Ovvero: siamo bravi, belli, barbuti e capaci di stupire con brani lunghi e arrangiamenti complessi. La genesi di Shore è stata bruscamente interrotta dall’espandersi della pandemia, tuttavia Robin Pecknold ha proseguito, in un relativo isolamento, nella composizione e registrazione dei brani, prima a New York presso lo studio di Aaron Dessner, poi in Francia e infine a Los Angeles.
Shore, un disco perfettamente riuscito per Pecknold e i Fleet Foxes
Ispirato da lutti recenti e remoti si è concentrato anche sugli aspetti tragici del mondo musicale. La scomparsa di amici e famosi musicisti, per esempio, torna nel testo di Sunblind, dove vengono citati David Berman, Bill Withers, John Prine ma anche Judee Sill ed Elliott Smith (“Nuoterò per una settimana, nelle calde acque americane*…seguendo le scie che avete lasciato”). Un’altra evidente peculiarità di questa uscita è la stringatezza dei brani; solo uno supera i cinque minuti e ben tre si fermano prima dei due e mezzo (anche se l’accattivante Wading In Waist-High Water è praticamente l’intro di Sunblind). Come già detto, tutto a carico di Pecknold, ma con qualche cameo d’eccezione: Kevin Morby, Daniel Rossen, e due diversi batteristi. La compositrice d’avanguardia Meara O’Reilly invece contribuisce con alcuni vocalizzi a Jara (brano che evoca il coraggio di opporsi all’ingiustizia). Un disco importante, d’acqua, d’aria e di sognante intensità. Questa volta il presuntuoso talento dei Fleet Foxes (o di Pecknold) riesce nell’intento di far premere il tasto “play” e riascoltare il disco dall’inizio. Di questi tempi non è proprio poco!
P.S. Il disco è accompagnato da un bel video dallo stesso titolo che merita certo uno sguardo.
*American Water è un disco dei Silver Jews di David Berman
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