Graham Nash - Now

Graham Nash: l’indispensabile.

Nella premiata ditta Crosby, Stills, Nash & Young (i primi due americani, l’ultimo canadese) l’inglese Graham Nash, a prima vista, sembra il classico vaso di coccio tra i vasi di ferro. David Crosby, il migliore, scomparso a gennaio a ottantun anni dopo una vita leggendaria e crudele, era un grande cantante e autore di canzoni. Stephen Stills, il chitarrista più abile e versatile. Neil Young il più visionario, prolifico e tormentato. E Nash?

Nash è l’indispensabile. Oltre a essere un eccezionale tessitore di armonie al canto, avendo costituito con Crosby un duo eccellente e unico che si fa preferire, per me, ai similari Simon & Garfunkel, oltre ad aver fatto importanti canzoni come Marrakech Express, Our House, Teach Your Children, Chicago, Immigration Man, Wind on the Water, Just a Song Before I Go, Cathedral, Wasted On The Way, Jesus Of Rio, l’antico Willy, come lo chiamava Joni Mitchell ai tempi della loro relazione, è un uomo che ha dimostrato nel tempo una grande pazienza. È principalmente grazie a lui se due monumenti all’arte dal vivo dei quattro, l’epico doppio album 4 Way Street, 1970, e il ponderoso CSNY 1974, pubblicato a quarant’anni da quella tournée, esistono come esistono. Condivide poi con James Raymond, Nash, il merito della continuità artistica di Crosby, a cui ha più volte impedito di farsi più male di quello che si è fatto restando al suo fianco nelle avversità.

Un artigiano del pop

Detto del suo valore come cantante ed elemento di coesione costruttiva fra caratteri forti, talvolta insopportabili, e completando il quadro rilevando il suo valore come fotografo e una maniera di porsi, sincera e affabile, che lo rende simpatico anche solo guardandolo sorridere da un giornale, non si può non riconoscere che la produzione di canzoni di Nash non possa essere ritenuta all’altezza di quella dei tre compari.  È vero che inizialmente ebbe un grande successo commerciale nel Regno Unito con gli Hollies, un gruppo beat il cui nome è un omaggio al grande e sfortunato Buddy Holly e che nel 1967 si presentò a Sanremo, in coppia con Mino Reitano, per cantare Non Prego Per Me di Lucio Battisti e Mogol. Il suo è però un onesto artigianato pop. Un talento umile con occasionali bagliori che si esalta in mezzo a i quattro, ma arretra nelle prove soliste in cui rivela, inesorabilmente, il fiato corto. 

Nessun suo disco è indimenticabile. Tanto meno un capolavoro come If I Could Only Remember My Name di Crosby o soltanto un grande disco come Harvest, On the Beach, Rust Never Sleeps di Young e i primi due, omonimi, di Stills.

Qualcosa da dire

E allora? Allora si ascoltano le canzoni dai suoi dischi come si esaminano le conchiglie in riva al mare, intimamente gioiosi quando se ne trova qualcuna di curiosa, addirittura bella come Better Days (nell’album Songs For Beginners, 1971) e Out Of The Island (su Earth and Sky, 1980). Non è sulla spiaggia, pardon, nella discografia di Nash, che si possono trovare esemplari unici da collezione, volevo dire canzoni memorabili, come ad esempio Laughing, Word Game, Cortez the Killer, rispettivamente di Crosby, Stills e Young. Vale però ascoltare ogni suo disco dall’inizio alla fine: non è mai inutile e potrebbe riservare delle sorprese piacevoli.

Now, settimo album che giunge a sette anni dal sesto, che ne dista quattordici dal quinto, che arrivava a sedici dal quarto, non sfugge alla regola. “A questo punto della mia vita, ho qualcosa da dire” si è fatto avanti, garbato e risoluto, l’ottantunenne Nash che, dopo la morte di Crosby, è il più anziano dell’antico quartetto. A dispetto del titolo proteso al carpe diem, il disco «più personale che abbia mai realizzato», prodotto insieme a Todd Caldwell, riflette, nelle tredici canzoni, non solo il presente ma anche il lontano passato, come conferma la rimpatriata con Allan Clarke, originario cantante degli Hollies con cui Nash condivide la canzone nostalgica intitolata, programmaticamente, Buddy’s Back.

Right Now, dove brilla il fedele chitarrista Shayne Fontayne che nel 2012 fece il solo di Stairway To Heaven alla presenza di Obama e dei Led Zeppelin nell’omaggio del presidente al leggendario gruppo per il contributo alla cultura americana, è la canzone di apertura, il singolo apri pista e anche quella che resta maggiormente impressa. Il resto del repertorio scivola via gioviale e tranquillo, gradevole, senza troppe emozioni, pretese o sbavature, attraverso arrangiamenti che rivelano un’attenzione inusuale rispetto ai precedenti lavori. 

Una cartolina da New York 

C’è una costante nei dischi di Nash. La sua voce, intensa e duttile nei cori con Crosby e anche da sola negli accompagnamenti, non si fa reggere per un disco intero. Non è una questione di personalità ma di timbro. Diventa perciò interessante relazionarsi ai suoi album rispetto all’epoca di pubblicazione e alle sue vicende personali per capirne meglio i contenuti. A volte semplici, raramente banali. 

Now riflette gli ultimi anni vissuti da Nash a New York, quando non è in tournée in giro per il mondo come avverrà in Europa tra agosto e ottobre, insieme alla terza moglie Amy Grantham. Lei condivide con lui la passione per la fotografia ed è l’autrice dell’immagine in copertina, come lo era di quella del precedente This Path Tonight del 2016. Una storia, quella con la Grantham, sposata quattro anni fa, che portò Nash a lasciare, tre anni prima, la seconda moglie Susan Sennett, sposata nel 1977, due anni prima che la Grantham nascesse, e ad essere allontanato dal figlio Jackson. La prima moglie, Rose Eccles, sposata a ventidue anni, la lasciò in Inghilterra poco prima di emigrare in California dove, attraverso David Crosby, conobbe e amò Joni Mitchell per la quale scrisse Our House.

La morte improvvisa di Crosby è stata un duro colpo. Qualche anno fa i due avevano litigato di brutto rompendo, Nash disse definitivamente, il pluriennale sodalizio. Lo avevano riallacciato poco tempo prima che Crosby se ne andasse. «È stato terribile: per giorni ho riascoltato le nostre canzoni» ha confessato. 

Idealista senza illusioni alla maniera di John Kennedy, dopo oltre sessant’anni di musica Graham Nash continua a emanare quella particolare suggestione che ha reso l’epopea californiana tra San Francisco e Laurel Canyon, quartiere in collina a Los Angeles, un miraggio che non accenna a svanire.  

Graham Nash - Now
6,5 Voto Redattore
0 Voto Utenti (0 voti)
Cosa ne dice la gente... Dai il tuo voto all'album!
Sort by:

Be the first to leave a review.

User Avatar
Verificato
{{{ review.rating_title }}}
{{{review.rating_comment | nl2br}}}

Show more
{{ pageNumber+1 }}
Dai il tuo voto all'album!

print

Pietro Andrea Annicelli è nato il giorno in cui Paul McCartney, a San Francisco, fece ascoltare Sergeant Pepper’s ai Jefferson Airplane. S’interessa di storia del pop e del rock, ascolta buona musica, gli piacciono le cose curiose.

Lascia un commento!

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.