Due impressioni diverse per Moondust for My Diamond di Hayden Thorpe
Prima impressione: Moondust for My Diamond (Domino) è un bel disco a cui manca qualcosa. Difficile dire cosa. Verrebbe da dire il travaglio, il sudore della mente.
Si può obbiettare che non sono travaglio e sudore termini associabili alla musica di Hayden Thorpe, né oggi come solista né a suo tempo come frontman dei Wild Beasts. Si può obbiettare che lo stesso discorso vale per ‘maestri’ importanti tipo David Sylvian o Paul Buchanan (quello dei Blue Nile). Solo che in loro il travaglio è evidente sotto le forme eleganti, la bella superficie levigata (che, per tale ragione, risultano ancora più eleganti e levigate). Thorpe invece sembra creare dei fondali, degli scenari quando non degli Swarowski sonici. E non è per nulla un complimento.
La seconda possibile lettura di Hayden Thorpe – Moondust for My Diamond
Questa era la lettura antipatica, ipercritica, ipertesa. Può accadere però, e magari nemmeno al primo ascolto, che un pezzo intitolato Hotel November Tango catturi l’attenzione e assuma l’aspetto di un ponte – nella nebbia, per dare l’idea – attraverso cui entrare nel mondo thorpiano, coglierne la sommessa, suadente e per nulla swarowskiana sensualità. Ed ecco che assumono un connotato diverso, e motivato, sia l’elettronica vaporosa sia la classica voce in falsetto. Non è un esito tanto ovvio e per arrivarci un certo travaglio è certamente stato necessario.
Moondust for My Diamond e le strade della bellezza
Forse questa lettura simpatetica è aiutata da una seconda parte dell’album meno astratta e più trasognata, più emozionante. Forse ci vuole qualche minuto per sgomberare la testa da certificati verdi e indici RT e per pensare che c’è comunque bellezza intorno a noi. Magari non riusciamo a vederla, oppure la facciamo andare via, ma poi riappare, a volte come un ponte nella nebbia.
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