La moda dei tributi non passa. Ecco I’ll Be Your Mirror: A Tribute to the Velvet Underground and Nico.
I dischi tributo, si sa, sono una categoria a parte nel mondo discografico. Nati verso la fine degli anni 80, quando anche il ritorno sulle scene di band dimenticate nei meandri degli anni sessanta e settanta inaugurò la prima fase autoreferenziale del classic-rock (ai tempi non lo si chiamava ancora così), negli anni 90 il formato ebbe un grande successo, sia perché c’era terra vergine di nomi da tributare, anche meno conosciuti (quanti giovani dediti al grunge scoprirono i 13th Floor Elevators grazie ad un bel tributo uscito proprio in quegli anni?), sia perché ai tempi poi i cd si vendevano, e ancor più se presentavano nomi accattivanti. Quello che sorprende è invece che la moda del tribute-album non sia scomparsa nei 2000, anzi, in un’era di revival cronico assistiamo a nuovi tributi ad artisti già “tributati”, perché in fondo la formula non ha limiti finché ci saranno giovani e vecchi artisti disponibili al gioco della cover.
La storica etichetta Verve
I’ll Be Your Mirror. A Tribute to The Velvet Underground & Nico si inquadra poi nell’ottica del rilancio di una etichetta storica come la Verve, dopo che nel 2006 la Universal l’aveva ridotta al rango di puro marchio storico licenziando l’85% del suo personale. I Velvet Underground, si sa, aprirono i cataloghi della sigla, di solito dedicati solo al jazz, a mondi inesplorati, e quindi ora che il nome Verve torna a riscoprire anche nuovi talenti, pare giunto il momento di ringraziare la band di Lou Reed e soci. Non è ovviamente il primo tributo alla band, la Imaginary ne licenziò ad esempio uno triplo nel 1991, intitolato Heaven & Hell, con il meglio del nuovo rock di Seattle e dintorni, Nirvana compresi, ed è curioso notare che a quel progetto partecipò in veste da solista Lee Ranaldo dei Sonic Youth, mentre qui è il suo vecchio compare Thurston Moore (aiutato dal Primal Scream Bobbie Gillespie) a ribadire il debito nei confronti dei Velvet Underground, e forse anche a chiudere un cerchio.
Alti e bassi di I’ll Be Your Mirror: A Tribute to the Velvet Underground and Nico
Per il resto il gioco in questi casi, dichiaratamente fine a sé stesso , è scoprire chi aggiunge e chi toglie, ma qui ovviamente sarete voi a metterci il vostro gusto, anche se è innegabile che Michael Stipe nelle canzoni dei Velvet ci ha sempre sguazzato come se fosse il suo brodo primordiale, mentre la coppia Sharon Van Etten/Angel Olsen tradisce un po’ di timore reverenziale trasformando Femme Fatale in qualcosa di poco sostenibile, per non parlare della inspiegabilmente inutile versione offerta da St. Vincent con Thomas Bartlett.
La sua è comunque l’unico scivolone dell’album, perché sia i vecchi (Iggy Pop dimostra che European Son poteva benissimo essere una outtake di Funhouse), sia i grandi nomi degli anni 2000 (Matt Beringer dei National penso abbia coronato il suo sogno di far finta di essere Lou Reed, Andrew Bird si fa ben aiutare dai Lucius, ma meglio di lui fa Kurt Vile che dona vigore ad un brano poco celebrato come Run Run Run), sia quelli più di ultimo pelo (Courtney Barnett, la cui scordatissima versione di I’ll Be Your Mirror finisce ad essere una delle cose più riuscite del disco, o i Fontaines D.C. che si divertono a calarsi nell’atmosfera acida del tempo), ne escono più che degnamente. Resta comunque un progetto un po’ deludente visti i nomi in campo, ma diamo la colpa al troppo rispetto ad una band forse seconda solo ai Beatles in termini di influenza su altri artisti.
La scaletta
- Sunday Morning – Michael Stipe
- I’m Waiting For The Man – Matt Berninger
- Femme Fatale – Sharon Van Etten (w/ Angel Olsen)
- Venus In Furs – Andrew Bird & Lucius
- Run Run Run – Kurt Vile
- All Tomorrow’s Parties – St. Vincent & Thomas Bartlett
- Heroin – Thurston Moore feat. Bobby Gillespie
- There She Goes Again – King Princess
- I’ll Be Your Mirror – Courtney Barnett
- The Black Angel’s Death Song – Fontaines D.C.
- European Son – Iggy Pop & Matt Sweeney
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