James - Yummy

Yummy conferma l’eterna giovinezza dei James.

Che bella certezza che sono i James. Siamo al diciottesimo album di studio, preceduto quasi un anno fa da un live, Be Opened to the Wonderful, che ne rinvigoriva i fasti e che dimostrava, ancora una volta, la loro qualitativa longevità (e lo stesso valeva per All the Colours of You del 2021).

Certo, qui nello stivale, i James non son mai stati considerati al livello di altre bands che, però, nel frattempo, si sono disintegrate forse anche per via di una, a volte immeritata, sovraesposizione mentre loro, se si esclude uno hiatus necessario per riprendere fiato dopo le glorie quasi madchester e le collaborazioni colte con Eno, da brave fenici non solo persistono nel loro breviario pop ma riescono ad essere ancora impressionantemente contemporanei e soprattutto godibili.

Le suggestioni papillari suscitate dalla copertina di Yummy (BMG) trovano nelle 12 canzoni tutta la loro libidica soddisfazione accontentando finanche i palati più smaliziati, complice una scrittura mai leziosa o compiacente ai gusti dell’attuale e grazie anche alla voce di Tim Booth che non è invecchiata di un giorno, anzi si è arricchita di sfumature un tempo inedite ed oggi foriere di emozioni per tutte le stagioni.

Yummy, un lavoro tutto ad alto livello

Difficile trovare di questi tempi un album che non contenga riempitivi ma che, potenzialmente, potrebbe esprimere ogni canzone contenuta come un buon singolo, a partire proprio dalla prima, già eletta appunto a singolo apripista, Is This Love, come molte songs dei James da immaginarsela cantata tutti in coro durante un live. Si prosegue con la pungente Life’s a Fucking Miracle, quasi un anticanone dagli umori dance, la romanticheria futuribile di Better With You, il tuffo desertificato di Stay, ancora una dimostrazione di Less Is Better che tanti loro contemporanei dovrebbero aver imparato ma anche no, il crepuscolo fonosemantico di Shadow of a Giant che diventa strano raga e la distorsione in salsa autotune che poi diventa laica preghiera di Way over Your Head, quasi un omaggio al periodo Enoesque.

La condanna al nuovo paganesimo a portata di mano di Mobile God è obliqua e necessaria danza, altra roba che live spaccherà le giunture a noi senili fedeli, Our World è una para giga bucolica (ma occhio al video…), elemento sempre contraddistinguente i James sin dagli esordi, poco importa se di marca elettro che la fa tanto anni’80 senza nostalgie all’alluminio. Rogue, se si imparano gli accordi e si ringrazia per quel sapore di Cure di prima della scomparsa delle vena, ci si prepara per suonarla davanti un falò, Hey è infettata di elettronica purissima e quasi conia un genere, l’acustico sintetico, Butterfly omaggia l’immagine di copertina con una atmosfera da titoli di coda del vostro distopico preferito e la conclusiva Folks mette a disposizione delle parole riflessive di Booth una base tra l’atonale e il convenzionale perfettamente a fuoco.

Prodotto da Leo Abrahams e con la partecipazione di Jon Hopkins, tanto per restare in tema enofilo, Yummy si candida ad essere uno dei migliori lavori della band e, vedi sopra, dopo 42 anni di attività, merita uno chapeau decisamente convinto. Per gli hardcore fans esiste anche versione deluxe, con un secondo cd, Pudding, con demo, jam e robine varie per arricchire ancor più questa già imbanditissima tavola sonora.

James - Yummy
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Collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d'accordo con lui e che , invece, i musicisti adorano.

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