Può esistere un pop del dolore? La risposta in Jubilee dei Japanese Breakfast.
Il dolore, la perdita possono disegnare i confini di una personale camera di tortura in cui si perde ogni parola e ogni suono, anche l’eco nel mondo. È la storia di molti, dei più. Capita però alle volte – ed è poco meno di un miracolo quando accade – che qualcuno dia prova di conoscere il mestiere triste del trarre sangue dal dolore, soffiandolo in un vetro sottile, in note leggere, mutandone la natura in un impercettibile velo di cipolla, in un battito d’ali lieve e raffinato.
Storia di Michelle Zauner, regina dei Japanese Breakfast
È una grazia riservata a pochi; le modulazioni prodotte possono essere di inuguale intensità e valore, ma sono indizio di elezione. Fra questi – si fa per dire – happy few, di certo c’è un posto per Michelle Zauner. Di padre americano e madre sudcoreana, artefice e regina dei Japanese Breakfast, in musica e molteplici scritture Michelle tesse da anni la tela, fine e infinita, della perdita della madre amatissima, Chongmi.
https://www.youtube.com/watch?v=q2pQIqR-m_w
Jubilee: luce alla fine del tunnel?
Jubilee, dopo l’elegante ma esile Psycopomp (2016) e dopo l’ovattata, suggestiva dispersione nel cosmo di malinconia di Soft Sounds From Another Planet (2017), è un punto, se non di arrivo, da cui si inizia almeno ad avvistare terra.
Jubilee è un disco pop; è l’approdo sofisticato ad una semplicità difficile, dopo i lussureggianti e accorati giri di valzer di Soft Sounds From Another Planet. Se ci è consentito, Jubilee è il primo esito artistico di una faticosa vittoria sul proprio caos interiore, sezionato ed ordinato in una luminosa, razionale ed armonica colazione giapponese.
E ci si potrebbe sbagliare, si potrebbe peccare di superficialità e lasciarsi da questa distillata ‘musica da cameretta’, in cui la qualità della scrittura e l’ispirazione corrono fluidi come un ruscello di montagna e non inciampano mai. E credere che la superficie lucente sia solo un’abile confezione commerciale. Per chi scrive non è così. Non soltanto, almeno.
Suoni e parentele artistiche dei Japanese Breakfast
Si sono qua e là evocati nomi e parentele significativi: dai Belle and Sebastian agli Orange Juice. Può darsi sia vero, come può darsi che facciano più di una apparizione gli Style Council umorali di Café Bleu (si ascoltino i fiati, si godano i ritmi di Slide Tackle e si giudichi) e che ci sia molta morbida Scozia anni Ottanta in Jubilee, ma una volta tanto ce ne importa poco, perché a chi scrive pare che ci sia soprattutto molta, bella Michelle Zauner, la cui voce cuce tutto in un velluto terso e sorridente, con appena qualche orlo screziato d’ombra.
Se tutto il lavoro fosse all’altezza dell’incantevole power pop dell’iniziale Paprika, o della sorridente malinconia per archi della splendida Tactics, saremmo davanti ad un capolavoro, né più né meno. Non è così; la corda non regge alla stessa tensione per tutti i trentasette godibilissimi minuti di Jubilee. Non di meno, i pastelli delicati di Posing in Bondage e Posing For Cars, il trattamento discreto e superbo di fiati ed archi un po’ ovunque organizzano una fragrante e variegata festa musicale, così come sono poco meno che irresistibili Be Sweet (un omaggio alla Madonna di True Blue) e l’incanto cameristico e cantabile di Kokomo, IN.
E adesso?
Jubilee è un traguardo al sole per Michelle Zauner, dicevamo: impeccabile, splendidamente arrangiato, perfettamente prodotto, ma imperfetto negli esiti (Sit e Savage Good Boy sono senza dubbio i suoi frutti più gracili). In Jubilee si torna a sorridere, con cautela e timore, accarezzando un dolore che sta mutando pelle e non è più, non soltanto almeno, disperazione.
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