Tra folk, rock, ambient e tanta Scozia il ritorno di King Creosote con I Des.
Strano personaggio Kenny Anderson/ King Creosote. Intanto c’è questo suo curioso nome d’arte, la cui origine nessuno spiega (c’entra qualcosa il disgustoso Mr. Creosote di montypythoniana memoria? ). Poi c’è la sua prolificità artistica: una quarantina di titoli da fine anni ’90 a oggi suddivisi in incisioni fai-da-te frequentissime (ma molto diradate in tempi recenti) e album ‘ufficiali’ pubblicati dalla Domino e diffusi tramite i normali canali distributivi. Anche in questo secondo ambito il musicista scozzese si è fatto via via più parco, visto che la precedente uscita, Astronaut Meets Appleman, è datata 2016. Una stranezza ancor più importante è l’ambito artistico in cui agisce il nostro. La matrice è indiscutibilmente il folk scozzese (incluso accentone da far invidia a ad Alasdair Roberts), su cui s’innestano tanti elementi diversi. I prediletti paiono essere un certo pop marziale affine ai Run Rig seconda fase o, volendo, ai Big Country e una ambient pervasiva talora usata come fondale ritmico.
La vitalità di I Des
C’è infine una stranezza, specifica di questo nuovo disco, ed è rappresentata dal titolo. I Des pare faccia riferimento al co-produttore Derek “Des”O’Neill, tuttavia, come fatto notare da molti, le due parole suonano come Ides, In alternativa possono venire anagrammate come “Dies” e, considerando che sotto c’è scritto MMXXIII, la cosa suona piuttosto macabra. In realtà, e questo potrebbe essere un ulteriore elemento insolito, l’album suona vigoroso, corposo, vitale e persino più ricco di situazioni diverse – anche in uno stesso brano – rispetto al passato.
Complice un’indiscutibile sapienza compositiva, King Creosote sa essere comunicativo, coinvolgente sia nei momenti più scorrevoli (la veloce filastrocca Susie Mullen) sia dove lo si ascolta alle prese con seri guai sentimentali (Ides, Please Come Back…) o addirittura con la caducità delle nostre esistenze (Ides). In breve I Des fa star bene senza essere frivolo, fa riflettere senza essere sentenzioso, può piacere sia ai cultori del folk sia ai rockisti cuore in mano e, soprattutto, evoca il vento e l’ampiezza dei più classici paesaggi scozzesi.
Il pezzo che forse pochi sentiranno
Quanto detto fin qui vale per le prime 9 tracce e i primi 40 minuti circa. Poi ce ne sono 36 tutti occupati da Drone in B#, temibile pezzone strumentale che si evolve lentamente fino a diventare epico e motorik verso il dodicesimo minuto per poi sfumare ancor più lentamente in arcane volute folk-ambient. L’ascolto è impegnativo, ma a suo modo avvolgente perché King Creosote, anche in questo ambito che di norma tende all’austero, riesce a essere vitale. Dev’esserci sempre di mezzo la Scozia.
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