I’m Not Sorry, I Was Just Being Me: King Hannah e un’opera prima di cui molto si parla.
Le belle recensioni che circondano l’esordio dei King Hannah, I’m Not Sorry, I Was Just Being Me (City Slang) hanno forse bisogno di una breve analisi. Il giovane duo di Liverpool dimostra di aver assorbito e trasformato, ma senza strafare, un ben preciso sound con voce femminile degli anni ’90 , diciamo tra i Mazzy Star di Hope Sandoval e i Portishead di Beth Gibbons.
In apertura del disco, invece, la bella A Well-Made Woman sembra indicare un percorso trasversale tra la PJ Harvey degli inizi e gli algidi affreschi sonori di Angelo Badalamenti (Twin Peaks, Julee Cruise). Non bisogna dimenticare, comunque, una certa vicinanza con alcuni artisti della corrente Americana, almeno con quelli a “conduzione mista”, come i Cowboy Junkies più arditi o il duo Chris & Carla (spin-off occasionale degli Walkabouts). Sempre personaggi non da poco, comunque.
King Hannah in studio e dal vivo
Nelle già numerose interviste i due leader, Hannah Merrick e Craig Whittle, dichiarano rispetto e ammirazione verso nomi importanti della scena indie come Bill Callahan, specialmente per il suo periodo a nome Smog. All Being Fine, per esempio, è un brano incalzante che sembra proprio uscito da dischi come Knock Knock o Supper. Per completare il quadro delle influenze aggiungo che The Moods That I Get In, con il suo incedere strascicato, ricorda vagamente On The Beach di Neil Young. Quest’ultimo aspetto è risultato evidente, ben più che su disco, negli affollati concerti italiani.
Il sottoscritto, essendo colpevolmente rimasto chiuso fuori dal concerto di Genova, non può che ribadire il passaparola dei presenti, ovvero che i King Hannah siano un gruppo che dal vivo acquista potenza e credibilità (come ha scritto Franco Zaio su queste stesse pagine). In studio, forse, c’è ancora qualcosa da centrare in termini di personalità, ma in fondo, appena a inizio carriera, un giovane duo come King Hannah può solo riservarci gustose sorprese.
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Fausto Meirana
Recensore di periferia. Istigato da un juke-box nel bar di famiglia, si cala nel mondo della musica a peso morto. Ma decide di scriverne solo da grande, convinto da metaforici e amichevoli calci nel culo.
