Una biografia e un nuovo disco per Mark Lanegan.
Straight Songs Of Sorrow è stato concepito e scritto per accompagnare l’autobiografia di Mark Lanegan, Sing Backwards And Weep. Visti i titoli di entrambi, libro e disco, già si capisce che non sono fatti per tirarti su di morale. D’altra parte, che Mark Lanegan abbia avuto una vita complicata e che sia un sopravvissuto della sua generazione non è un mistero, e le interviste che preludono alle uscite confermano e rilanciano, insieme a un buffo scambio con Liam Gallagher in cui entrambi giocano a fare i duri e ne escono come una coppia di scolaretti colti da tempesta di testosterone.
Pochi mesi fa Somebody’s Knocking aveva lasciato perplessi
Straight Songs Of Sorrow arriva a pochi mesi di distanza dal non eccelso Somebody’s Knocking del quale in parte riprende i suoni sintetici. Però ci sono anche brani che rinviano a un passato più lontano e che potrebbero piacere a quanti non hanno troppo apprezzato le ultime prove di Lanegan. Il tutto, nonostante ci siano anche ospiti importanti, da Greg Dulli a Warren Ellis a John Paul Jones, suona sommesso, come se fosse stato realizzato volutamente con pochi mezzi. Per esempio, molti dei suoi elettronici sono dati dall’Organelle, un computer-sintetizzatore-programmatore ecc. Il che si traduce in basi ritmiche con scarsissime variazioni che restano sullo sfondo e in suoni non proprio cristallini. I brani che rinunciano all’elettronica hanno arpeggi di chitarra (dei quali si occupa Mark Morton) e poco più. Straight Songs Of Sorrow suona insomma quasi casalingo, a tratti dà l’impressione di un demo in attesa di essere sviluppato in studio.
I momenti migliori di Mark Lanegan – Straight Songs Of Sorrow
Il disco parte bene con alcuni dei momenti migliori. I Wouldn’t Want To Say è un brano di elettronica cupa, This Game Of Love è una ballata cantata con la moglie Shelley Brien. Apples From A Tree e Ketamine appartengono invece al gruppo dei brani che rinviano al passato, semplici ballate di chitarra: la seconda dà risultati migliori, è anzi uno dei momenti migliori di Straight Songs Of Sorrow, mentra la prima palesa una cosa evidente anche in altre parti del disco, ossia che i decenni di eccessi e l’età non hanno aiutato la voce di Mark Lanegan, che a volte suona stentorea e molto diversa (molto peggiore: va detto) di quella di un tempo.
Su un totale di quindici canzoni, alcune sono più atmosfera che altro. Però ci sono anche bei momenti: Stockholm City Blues e Skeleton Key (nonostante una lunghezza eccessiva) al centro, At Zero Below verso la fine con il violino di Ellis che dà subito un tocco di Nick Cave alla canzone. Insomma ce n’è abbastanza per fare contenti i molti fan di Lanegan, e allo stesso tempo per lasciare qualche dubbio a quanti si sono stancati delle tematiche (sia nella musica sia nei testi) monocordi del nostro, a volte troppo vicine al cliché.
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