Morrissey lo dice a tutto il mondo: I Am Not A Dog On A Chain!
Qualche tempo fa un acuto giornalista musicale italiano propose un’interessante osservazione: la perdita di centralità del rock è dimostrata (anche) dalla mancanza di personaggi così vistosi da essere parodiabili. Forse non gli era venuto in mente Morrissey. O forse Morrissey non aveva ancora incominciato a dire esplicitamente le cose che sta dicendo da un paio d’anni a questo parte, tipo dichiararsi sostenitore del partito di estrema destra e islamofobo For Britain. Oppure a fare cose tipo corse in auto contromano per le strade di Roma (pretendendo pure di aver ragione).
Morrissey, le sue idee e il suo nuovo album
Chiaro che l’attesa per il suo tredicesimo lavoro solista era velata dal timore per un possibile endorsement lirico a favore dei suoi nuovi idoli politici (timore inesistente, ovviamente, se si è di quelle idee). Anche il titolo I Am Not A Dog On A Chain – con la sua retorica uno contro tutti – prometteva poco di buono. C’era poi un timore sonico. L’ultimo bel disco di Morrissey era stato Years Of Refusal (2009). Poi sia World Peace Is None Of Your Business sia Low In High School erano risultati prolissi e/o pasticciati. Quanto alle cover di California Son, andate a leggervi la recensione di Giovanni Ferrari su questo sito. Detto che entrambi i timori sono stati abbastanza scongiurati dall’ascolto, proviamo a spiegare perché.
I testi di I Am Not A Dog On A Chain
Il principale nucleo testuale dell’album è “la Verità”. Verità che il nostro egoriferitissimo cantante conosce e gli altri no. E in The Truth About Ruth lo dice senza vergogna: “Io dissotterro la verità”. La title-track è il brano-guida a livello concettuale: “Non sono un cane alla catena, uso il mio cervello/ Posso interrompere una conversazione, sono troppo intelligente per essere fregato”. Poi arrivano il classico attacco ai media (“Non leggo i quotidiani/ Fanno solo guai) e il verso contenente la parola chiave: “Presta orecchio a ciò che non viene fatto apparire e troverai la verità”. Qualche pezzo più avanti s’incontra il solito ricordo d’infanzia dove il piccolo Stephen esce insieme alla nonna per comprare Metal Guru dei T-Rex e incontra un gruppo di giovinastri e, inutile a dirsi, la parola chiave: “Guarda nei loro occhi brutali/ Ma solo se vuoi la verità”. E non possono mancare l’accenno al suicidio (Jim Jim Falls) e il tocco di autocommiserazione (The Secret Of Music).
Il Morrissey artista e il Morrissey opinionista
L’impressione è che il Morrissey artista sia più accorto (più paraculo?) del suo alter-ego opinionista. Lo dimostra, ad esempio, Love Is On Its Way Out il cui bersaglio (condivisibile più o meno da tutti) sono i “ricchi tristi che sparano a elefanti e leoni”. L’unico passaggio davvero politico sta in What Kind Of People Live in These Houses, sguardo non privo di suggestione sulla vita metropolitana. Suggestione senza compassione, però: “Votano sempre allo stesso modo – Non sanno che si potrebbe cambiare/ Perché i loro genitori facevano lo stesso”. C’è da immaginare che il voto in questione sia per i due partiti britannici tradizionali, ma Moz è abbastanza furbo da non dirlo. Alla fin fine il suo appare dunque una sorta di classismo più emotivo che social-politico, espresso senza nemmeno troppe isterie.
La musica di I Am Not A Dog On A Chain
La produzione è, per il quarto album consecutivo, nelle mani del bostoniano Joe Chiccarelli, il quale continua a far rimpiangere i suoi predecessori, da Stephen Street a Steve Lillywhite, da Mick Ronson a Jerry Finn. Il suono è sempre molto tronfio e arricchito (si fa per dire) da trovate improbabili tipo le petulanti trombe mariachi di Darling, I Hug A Pillow. Per non parlare della voce da soprano e dei mandolini che infestano una torch ballad alla Marc Almond come The Truth About Ruth. Malsana anche l’infinita coda sperimentale di The Secret Of Music tra risatine femminili e notiziario in francese. Quanto all’annunciata crescita d’importanza dell’elettronica, la si percepisce soprattutto nei primi secondi dell’iniziale Jim Jim Falls. Poi serve quasi sempre come base di partenza dei pezzi, prima di venire sovrastata da qualche idea geniale di Chiccarelli.
Per fortuna ci sono canzoni che, salvo qualche eccesso strumentale, scorrono efficaci e concise nel segno del pop venato di nostalgie rétro tanto caro a Morrissey e ai suoi fan. È’ il caso della quasi epica Love Is On Its Way Out oppure della già citata What Kind Of People Live In These Houses. Ricorda- udite, udite! – gli Smiths con un tocco country che, a sorpresa, non stona.
L’inossidabile canto di Moz
Ultima considerazione per la voce di Morrissey, che non perde colpi, anzi diventa persino più stentorea, forse per la necessità di stare in cima alla montagna di suoni. Oppure per fare a sportellate con la possente timbrica soul di Thelma Houston in Bobby, Don’t You Think They Know?
La resa dei conti dice di un album comunque interessante e che avrebbe potuto essere migliore tenendo a bada l’ego del suo autore (e del suo produttore). Ma senza ego Morrissey non è Morrissey, quindi…
Quindi il nostro ha deciso, in sintonia con le idee del suo premier Boris Johnson, di non rinunciare al concerto londinese del 14 marzo. Inoltre da qualche giorno si diverte a chiamare Miley Cyrus il Coronavirus. Alzata d’ingegno davvero sgradevole che vale un voto in meno sul giudizio finale di I’m Not A Dog On A Chain. Cosa di cui peraltro Morrissey si farebbe vanto se mai lo venisse a sapere: lui non è un cane alla catena.
Be the first to leave a review.