Dalla spoken word all’hip-hop, il percorso di Noname.
Mai come oggi il mondo dell’hip-hop è stato diviso: da una parte abbiamo un genere che è divenuto il più commerciabile al mondo, e che in questo processo si è però molto adattato ai linguaggi del pop; un fenomeno che si vede bene anche nei sottogeneri come trap o drill. Dall’altra c’è il “conscious rap” che è sempre esistito ma che oggi ha nomi nuovi (o seminuovi) come Earl Sweathshirt o Billy Woods, che rinunciano completamente all’appeal della classifica per portare avanti il loro discorso. Restano pochi quelli in grado di mediare, come fa Kendrick Lamar, fra capacità di dire qualcosa di significativo – nei testi come musicalmente – e abilità nel mettere in pista canzoni costruite per piacere.
Sundial è il nuovo LP di Noname
Noname, pseudonimo di Fatimah Nyeema Warner, che arriva al terzo LP con Sundial (se includiamo anche il mixtape d’esordio) appartiene decisamente al partito del rap con coscienza. D’altra parte, arriva dalla poesia ed evidente le parole sono in primo piano in tutta la sua produzione, che parte da Chicago e dalla collaborazione con altri due artisti della parola come Smino e Saba. Anche in Sundial la spoken word più che rap inteso in senso tradizionale trionfa. Al punto che fa piacere talvolta tirare il fiato con qualcuno degli ospiti, soprattutto le voci femminili melodiche (come quella di Ayoni) che qui e lì punteggiano il disco e interrompono il flow tiratissimo di Noname.
Collaboratori e canzoni
La radicalità delle scelte si vede dal coraggio di associarsi a Jay Electronica, come lei dice forse scelto inconsciamente per allontanare la sua fan base bianca, poco incline al messaggio di radicalismo black di Jay, che su Balloons ci regala un ‘It’s all a hoax, quite simple, a joke like Zelenskyy’, tanto per continuare a navigare controcorrente.
https://youtu.be/d71qAwfHa0Q?list=OLAK5uy_l3_exBHfmcZa6FNN5smECiHhd_raQ2g9k
Noname e Sundial funzionano meglio, però, quando la parola non è lasciata da sola. Namesake con la batteria incalzante, il jazz di Boomboom o di Oblivion con Common e Ayoni, Afrofuturism dalle reminiscenze Outkast, riescono a trovare l’equilibrio giusto fra testi e musicalità. Infine, sono sicura che la copertina del disco ha un significato che io non conosco, ma qualunque esso sia, resta davvero orrenda.
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