Laugh Track: nuovo disco per The National a brevissima distanza dal precedente.
All’inizio di quest’anno Belle and Sebastian hanno pubblicato Late Develeopers solo pochi mesi dopo il piacevole ma non eccezionale A Bit Of Previous. Il sequel di un prodotto di media riuscita non è quasi mai una buona idea. Invece l’esito è stato il miglior disco degli ultimi dieci anni per la band scozzese di nuovo convinta, rivitalizzata, frizzante.
Ora la stessa cosa accade con The National: Laugh Track (4AD) esce sei mesi dopo The First Two Pages Of Frankenstein, lavoro sin troppo pensoso e a tratti monocorde. Che si tratti di una seconda puntata pare evidente già dall’immagine di copertina (che richiama la precedente). Inoltre le comunicazioni ufficiali parlano di brani scritti nello stesso periodo di Frankenstein. Simili anche i risultati sonori? Oppure siamo in una dimensione di rinnovamento-nella-continuità paragonabile a quella di Belle and Sebastian?
Laugh Track, affinità e differenze rispetto al passato recentissimo
A entrambe le domande la risposta è: sì e no. Il primo verso della prima canzone, Alphabet City, dice “il mondo non mi manca, non così com’è”; dunque la dolente visione del mondo del frontman e liricista Matt Berenger sempre quella è. Anche i suoni continuano a essere sommessi, eppure l’effetto è più pervasivo, così come l’innato pessimismo berengeriano risulta più credibile e meno manierato. La sensazione che un po’ di stanchezza sia scomparsa si accentua ascoltando Deep End (Paul’s in Pieces) dal groove che riporta ai National migliori di fine anni ’00 (qui aiuta la batteria vera al posto della pulsazione elettronica di recente moto apprezzata dal gruppo). I National sembrano aver ritrovato persino la via della melodia come si deve in Weird Goodbyes, che cresce a poco a poco fino al bel ritornello in cui si fa sentire, ma non troppo, Justin Vernon/Bon Iver.
Laugh Track scorre pacato ma fluido, introspettivo ma motivato fino al pezzo che lo intitola e che vede il contributo vocale di Phoebe Bridgers. Poi arriva la stanchezza. Non che la seconda parte del programma sia davvero meno convincente, il suo problema è quello di essere, appunto, la seconda. Ci vorrebbe qualche variazione di forma e/o colore che non arriva oppure arriva troppo tardi grazie ai toni desolati ed epici e agli spazi finalmente ampi di Crumble (qui l’ospite vocale è la figlia d’arte Rosanne Cash).
E quando meno te lo aspetti…
La sorpresa arriva a tempo quasi scaduto nei 7 minuti e 47 secondi di Smoke Detector, brano che più degli altri pare sia stato sagomato durante i concerti estivi. Cantato-recitato laconico che fa pensare ai Velvet Underground, ritmica ben scandita in perfetto stile motorik e le chitarre dei fratelli Dessner a girare sempre più in cerchio per poi debordare psichedeliche come non mai.
Forse i National hanno in mano ancora buone carte da giocare o forse nel mazzo ne hanno pescata una capitata per sbaglio. Speriamo succeda ancora.
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