Oh Sees – Face StabberCastle Face Records - 2019

Gli Oh Sees al ventiduesimo album.

Oh Sees – Face Stabber
Castle Face Records – 2019

Un pupazzetto di gomma pigiato implacabilmente, un motorik frenetico e ossessivo di ben due batterie, e poi un fiorire di rumori, un «Ba, ba, ba» a punteggiare il canto come in una sgangherata festa officiata da musicisti squinternati e in totale delirio. Sembra di ascoltare i Pascala, con le distorsioni della chitarra che infiammano ulteriormente il finale del brano: inizia così con The Daily Heavy, Face Stabber il ventiduesimo album degli Oh Sees che, implacabile come il solleone estivo, arriva puntuale a un anno di distanza dal convincente Smote Reverser. Gli Oh Sees di John Dwyer sono infatti fra i gruppi più prolifici della scena californiana, e non solo.

Face Stabber

Il brano iniziale è il giusto viatico per iniziare il cammino, lungo e tortuoso, attraverso gli ottanta minuti di Face Stabber. Disco ridondante, barocco, eccentrico nel quale Dwyer e compagni frullano influenze musicali diverse con un occhio di riguardo agli anni Sessanta e Settanta.

 

The Experimenter pulsa di psichedelia ipnotica e irriverente alla Zappa. Mentre nella title track si trovano echi dei primi King Crimson, ancor più presenti in Fu Xi, traccia che nel finale esplode in una serie di suoni apocalittici e angosciosi. Del resto Dwyer l’ha definita «Una visione corrotta e fantastica della costruzione e della successiva distruzione della razza umana e del pianeta».  C’è spazio per il noise metal (Gholü), il funk distorto e malato (Poisoned Stones),  i tempi dispari inaciditi dal cantare ipnotico e immaginifico e dalle fiammeggianti tastiere (Psy-Ops Dispatch), la furia dissacrante del punk (Heart Worm), gli inquinamenti elettronici(Together Tomorow).

Due brani lunghissimi al cuore di Oh Sees – Face Stabber

Ma il centro della scena è inevitabilmente preso dai due (troppo?) lunghi brani, Scutum & Scorpius e Henchlock, rispettivamente di 14 e 21 minuti. Entrambi debitori di analoghi esperimenti del passato, dai Can agli Hawkwind, dai Pink Floyd a Frank Zappa, ma ognuno potrà divertirsi a scovare riferimenti a varie band del passato. Il primo ha un andamento epico in cui echi prog, funk rallentato, chitarre lisergiche, effetti elettronici ci trasportano su paesaggi urbani desolati. Il secondo è una lunga jam dove funk e jazz si fondono in un caleidoscopio sonoro sorretto dall’imponente sezione ritmica, i due batteristi, Dan Rincon e Paul Quattrone oltre al basso funk di Tim Hellman, sulla quale si alternano i fiati jazz, la chitarra fuzz, le tastiere scintillanti di Tomas Dolas. Il tutto immerso in un’atmosfera inquieta e vagamente oscura.

I testi degli Oh Sees di Face Stabber

L’atmosfera complessiva del disco corrisponde a testi dissacratori sulla realtà contemporanea. Critici verso l’eccesso fasullo di informazioni (The Daily Heavy), la dipendenza da oppiacei (Together Tomorrow), il controllo esercitato dal deep state (Psy-Ops Dispatch), il desiderio di controllare tutto (Captain Loosley). Oppure permeati da visioni distopiche (Heart Worm, Fu Xi, Scutum & Scorpios, The Experimenter).

 

La presenza di un pizzico di eccentrica follia e un atteggiamento che non disdegna l’ironia fanno sì che si perdonino gli eccessi e le lungaggini che ogni tanto affiorano, rischiando di far affiorare anche una certa stanchezza, soprattutto se si ascoltano di seguito gli ottanta minuti del disco. Ma sono difetti che vengono sopravanzati dall’esplosiva creatività, dalla fantasia compositiva, dalla varietà degli arrangiamenti. Certo forse nulla di nuovo sotto il sole, ma Face Stabber è un bel sentire, anche per chi certe sonorità le aveva scoperte già qualche decennio fa.

Oh Sees – Face Stabber
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Nato nel 54 a Palermo, dal 73 vive a Pisa. Ha scritto di musica e libri per la rivista online Distorsioni, dedicandosi particolarmente alla world music, dopo aver lavorato nel cinema d’essai all’Atelier di Firenze adesso insegna lettere nella scuola media.

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