Dopo anni difficili i Pinegrove tornano con Marigold.
I Pinegrove sono una band del New Jersey che compie dieci anni proprio nel 2020, anni che come si vedrà, non sono stati troppo tranquilli. Il nucleo del gruppo, completato poi da amici e turnisti di sala, consiste nel duo formato dal batterista Zack Levine e dal cantante-autore Evan Stephens Hall. Proprio da una disavventura del frontman sono nati i guai più grossi. Hall fu accusato di molestie sessuali da una fan verso la fine del 2017, causando la mancata uscita di un album già pronto per i negozi. Il disco, Skylight (secondo album originale dei Pinegrove) uscì poi nel 2018, confortato da un buon successo. Ma tra i fan e la band qualche giustificato imbarazzo è rimasto lì, come il proverbiale elefante nella stanza…
I Pinegrove di Marigold per riparlare di musica e con la musica
Con Marigold, Hall e Levine cercano di cancellare il momento buio, facendo parlare la musica, che nonostante il fiorire di etichette come alt-country, emo o baggianate del genere, resta un pop-rock carino e a tratti persino inoffensivo, almeno ad un primo ascolto.
Detto questo, visto il grande interesse della stampa specializzata per Marigold (inclusi paragoni con Wilco e Bon Iver), s’impone il vecchio metodo dell’ascolto paziente e ripetuto. Metodo che va anche unito al difficile tentativo di immedesimarsi con un ascoltatore appartenente, ahimè, ad un’altra generazione. Ecco che emerge, dopo un po’, una sorta di comfort zone, adattabile al covo chiuso di una cameretta di un adolescente. O, meglio ancora, di una adolescente. D’altronde, certe ballate strappa-emozioni come Hairpin o Alcove (nomen omen) riesce difficile immaginarle in un altro contesto.
Marigold s’impenna nella parte finale
La tracklist, piuttosto omogenea, s’impenna decisamente verso la fine del disco, con la dolce (ma un po’ ruffiana) ninna nanna di Neighbor, brano che si fonde, con una certa drammaticità, in un drone strumentale elettro-acustico di una presunzione pari ai suoi sei minuti di durata.
Possono sicuramente fare di meglio, ma il pollice di TomTomRock, severo ma giusto, rimane comunque girato verso l’alto.
Recensore di periferia. Istigato da un juke-box nel bar di famiglia, si cala nel mondo della musica a peso morto. Ma decide di scriverne solo da grande, convinto da metaforici e amichevoli calci nel culo.
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