Il disco più ‘verde’ del 2021 è Circle di Richard Dawson con i Circle
Nel 2019 Richard Dawson pubblicò un ben poco allegro album intitolato 2020, quasi presagisse i funesti esiti dell’anno a venire. Oggi ritorna con un lavoro in cui tutte le canzoni hanno nomi di piante, forse a voler intendere che a loro appartiene il futuro del pianeta e che nell’umanità c’è ormai poco da sperare. In realtà – e per fortuna – non è proprio così.
Breve ritratto di Richard Dawson e dei Circle
Richard Dawson è un rutilante folksinger di Newcastle-Upon-Tyne dalla voce sgraziata che ogni tanto guizza in curiosi falsetti e dalle melodie che seguono strade non sempre lineari. Il primo ascolto può essere irritante, il secondo può diventare intrigante (se non ci si ferma al primo) e il terzo incantevole. Nel senso di incantesimo da druido grande e grosso, s’intende.
Da qualche tempo Dawson si è associato con i finlandesi Circle, ensemble dalla lunga e polivalente militanza fra metal, prog, kraut, space-rock e altro, ma sempre con un debole per il versante oscuro delle delle cose. Insomma un matrimonio sonico già scritto nei cieli nuvolosi del Nord Europa (con gli Iron Maiden amati da entrambi a fare da testimoni di nozze) e sperimentato prima e durante la pandemia. Il risultato dell’interessante unione si chiama Henki (Domino Recordings).
Suoni e temi di Henki
Quella che si ascolta è musica che gli interessati hanno descritto come “flora-themed hypno-folk-metal”. Definizione corretta giacché i sette lunghi brani hanno un suono oscuramente terrigno (e sovente circolare) e parlano di piante e fiori. Nulla di bucolico, come è peraltro facile immaginare, visto che siamo di fronte a storie complicate che a volte attingono al mito o ad epoche oscure (Ivy, Silphium) oppure alle vicende di biologi e paleobotanici visionari e un po’ matti (Cooksonia, Methuselah) oppure danno voce a un seme vecchio di 32.000 anni fatto germogliare in un laboratorio di Mosca.
L’effetto d’insieme è quello che negli anni ’70 si sarebbe definitivo un trip, un trip epico e potente e qualche volta sorprendentemente melodico (Lily dal luminoso ritornello) che culmina nel gran finale di Pitcher con la sua evocazione di una “tower of death” che più che alla morte fa pensare alla rigenerazione. In finnico Henki significa all’incirca “spirito” e si potrebbe intendere come lo spirito che unisce piante e umani e aiuta questi a (soprav)vivere. Un modo diverso e più profondo e salutare, d’intendere il “go greeen” tanto industrialmente di moda oggi.
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