I’ve Been Trying To Tell You, ovvero i Saint Etienne diventano strani.
Tutti dicono che il decimo disco dei Saint Etienne celebra (e attualizza) l’idea fine anni ’90 della musica come loop infinito, avvolgente e radiofonico. Di sicuro è così, eppure I’ve Been Trying To Tell You (Heavenly) sembra raccontare anche un’altra cosa, ovvero la perdita o, piuttosto, l’impossibilità di una comunicazione lineare.
In oltre 30 anni il trio formato da Sarah Cracknell, Bob Stanley e Pete Wiggs si era fatto apprezzare per il suo talento nel fondere modernariato Sixties con ritmiche tra indie dance e trasognatezza. Insomma musica ballabile e intelligente ma anche sentimentale. Ora qualcosa è cambiato.
Le prime canzoni di I’ve Been Trying To Tell You dicono che c’è qualcosa di nuovo
Il pezzo d’apertura promette moltissimo fin dal titolo, Music Again, che viene spontaneo interpretare come un invito alla rinascita della bellezza in tempi brutti. La combinazione voce-chitarra acustica fa immaginare un lavoro suadente e venato di malinconia – o anche XX en plein air – che invece non arriverà (e lo sciabordio di suoni in cui si perde pian piano la melodia dovrebbe creare qualche sospetto). Arriva invece Pond House, costruita su un un sample di Beauty On The Fire di Nathalie Imbruglia con ripetizione fra incantevole e ossessivo della frase “here it comes again”. Quanto a Fonteyn, dove la melodia gira in tondo anche quando potrebbe puntare verso un ritornello, sembra la colonna sonora di un ricordo, il fermo immagine di un viso che ricorda.
Già qui si comincia a capire che nei Saint Etienne odierni c’è qualcosa di diverso dal solito. Dopo avere fatto il pieno di canzoni francesi, “english baroque sound”, lacrime tecnologiche e molto altro in una serie di magnifiche antologie da loro curate, Stanley e Wiggs decidono di non utilizzare melodicamente questo archivio emotivo. Pare piuttosto che la loro intenzione sia farlo fluttuare fra le nuvole.
Il cielo dei Saint Etienne
I tre titoli a centro programma mettono in chiaro tale intento e se, da un lato, l’ascolto causa qualche turbamento dall’altro i motivi d’interesse non mancano. A un rocker Little K sembrerà pallosa musica da rilassamento, a un rilassabondo parrà ossessiva, sfinente. Blue Kite fa pensare sì a un aquilone blu, ma alle prese con un vento di tempesta. I Remember It Well sfodera una ritmica abbastanza scandita e una chitarra più o meno post-rock che guida la musica tra voci parlanti e cantanti tutte assai fantasmatiche. Più avanti Penlop scioglie qualche nodo melodico con una base quasi ballabile alla Gainsbourg e, finalmente, una melodia vera e propria, per quanto sempre un po’ in loop. L’effetto è quello di un epos trattenuto e in parte assimilabile ai Low ultimissima maniera.
L’inevitabilità di una musica ‘sospesa’
La chiusura è affidata a Broad River, falso bucolico alla Cluster-Eno che conferma come tutto l’album sia un gioco di specchi, un sogno un po’ ossessivo che si ferma prima di diventare un incubo. Può essere tutto molto affascinante oppure frustrante, cinematico oppure noioso anche per lo stesso ascoltatore in momenti diversi (e qui torna il paragone con i Low). I’ve Been Trying To Tell You è anche un disco che sembra nascondere da qualche parte parte un suo doppio più fruibile, come se ora la musica dovesse rimanere, al pari delle nostre vite, in uno stato di sospensione.
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