Shabaka and the Anchestors – We Are Sent Here By HistoryImpulse! - 2020

Il percorso di Shabaka Hutchings incontra gli Ancestors in We Are Sent Here By History.

Chi ha avuto la fortuna di assistere ai concerti di Shabaka Hutchings in una qualsiasi delle sue diverse mutazioni – The Comet Is Coming,  Sons of Kemet – sarà rimasto colpito dall’energia debordante, dall’impatto impressionante e tumultuoso della sua musica. Si ha netta la sensazione che nel suo sax metta tutto se stesso, sangue, sudore e polvere da sparo e che davvero vibri in lui un’urgenza creativa e comunicativa con la quale investire e travolgere il suo pubblico.

Shabaka and the Anchestors – We Are Sent Here By History
Impulse! – 2020

Ma al tempo stesso nulla appare eccessivo, fuori posto, teso com’è a disegnare attraverso la musica un ben preciso universo morale, politico, umano, per cui ogni suono, ogni nota, ogni parola acquistano per chi ascolta senso e significato. Del resto è difficile restare indifferenti a Shabaka and the Ancestors – We Are Sent Here By History:  un disco dalla fortissima forza profetica che in un continuo dialogo con il passato, la storia, la tradizione cerca di indicare la direzione futura del nostro mondo.

Il senso di We Are Sent Here By History

«Dobbiamo iniziare ad articolare le nostre utopie, specificando ciò che deve essere bruciato da quel che invece deve essere salvato». Con queste parole Shabaka ha indicato il senso di questo suo ultimo lavoro, impregnato da una visione catastrofica del futuro. Noi siamo They Who Must Die, titolo del bellissimo brano iniziale, su cui incombe il disastro ambientale. Ci troviamo a un punto di non ritorno, bisogna ritrovare e discutere di nuove prospettive, ripensare alla nostra storia così da non continuare a commettere gli stessi sbagli. Così ci ammoniscono i testi del disco scritti in collaborazione col poeta Siyabonga Mthembu che li declama in bantù, zulu e xhosa, fra spoken words e allucinate predicazioni apocalittiche.

Shabaka and the Ancestors – We Are Sent Here By History: un nuovo progetto riuscito

È questo il secondo disco di Shabaka and the Ancestors, sestetto acustico sudafricano di Soweto. E di quel luogo si respira il carattere tribale, primordiale, ribelle, ma anche le contraddizioni esplosive di uno spazio emblematico dello sfruttamento e della discriminazione: come in The Beasts Too Spoke of Suffering o in We Will Work (On Redefining Manhood) che potrebbe ricordare i BCUC, altra notevole band di Soweto. C’è nella musica di We Are Sent Here By History una straordinaria commistione fra un suono futuristico che disegna scenari inquietanti e un suono che ha qualcosa di arcaico, ancestrale, che sembra provenire da antiche tradizioni evocate per esempio dal continuo richiamo alla figura del griot, importantissima nella vita delle comunità di buona parte dell’Africa.

Il jazz di Shabaka and the Ancestors – We Are Sent Here By History

Il jazz della band si nutre di molteplici ispirazioni. In particolare è il jazz spirituale coltraniano che pervade molte delle tracce, così come i rimandi a quel manipolo di geniali jazzisti sudafricani, Mongezi Feza, Hugh Masekela, Louis Moholo, che rifugiati a Londra diedero un contributo decisivo alla scena inglese anche rock e prog. Ma ovviamente ci sono, come sempre nei dischi di Shabaka, riferimenti anche alla musica caraibica.

Da rimarcare la forza dirompente del ritmo impresso dall’infaticabile contrabbasso di Ariel Zamonsky, cui fanno da contraltare gli eterei e spaziali inserti del Fender Rhodes: come in You’ve Been Called dove accompagnano le drammatiche liriche del poeta  Lindokuhle Nkosi o nella parte centrale di They Who Must Die. E poi ci sono i fiati, il sax e il clarinetto (meraviglioso nell’intensa e spirituale Go My Heart, Go to Heaven) di Shabaka. In certi momenti sembrano seguire il ritmo pulsante di un affannoso respiro, in altri sembrano voglia strapparti la pelle di dosso, in altri contribuisce a creare quel clima apocalittico e spiritato che pervade tutto l’album.

Dopo il furore, una chiusura pacata

Chiude il disco Teach Me How To Be Vulnerable, un dialogo fra il sax di Shabaka e il piano malinconico e intimista di Thandi Ntuli che lentamente e intensamente ci portano alla conclusione di questo straordinario viaggio musicale, fatto di emozioni forti e messaggi sconvolgenti e poco rassicuranti. Ma è proprio il pacato spegnersi della musica che ci offre alla fine un po’ di speranza, suona quasi come un appello alla riflessione e a trovare la strada perché l’apocalisse non ci faccia soccombere.

Shabaka and the Ancestors – We Are Sent Here By History
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Nato nel 54 a Palermo, dal 73 vive a Pisa. Ha scritto di musica e libri per la rivista online Distorsioni, dedicandosi particolarmente alla world music, dopo aver lavorato nel cinema d’essai all’Atelier di Firenze adesso insegna lettere nella scuola media.

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