Da Dublino arrivano, citazionisti ma bravi, i Silverbacks di Fad.
Ed eccomi di nuovo alle prese con una stimolazione/formazione del Mio Direttore… Già perché, diciamolo sinceramente, non fosse lei a mandarmi ogni tanto qualcosa di nuovissimo da sentire, io mi assesterei per pigrizia e senilità solo su nomi noti e, a volte, ancora vivi… Beh, è poco più di una settimana che ascolto Silverbacks – Fad ma ci ho messo un po’ a trovare in me stesso, durante gli ascolti, la motivazione a scriverne.

Band di Dublino all’esordio su lunga durata i Silverbacks mi suscitano quel dualismo comportamentale per cui, se mi calo con orecchie vergini all’ascolto ci trovo entusiamo e voglia di essere diversi dalla massa, mentre se metto in azione le orecchie vetuste del recensore over cinquanta, ci individuo piacevolezze post punk, omaggi a a Mark E.Smith (che dopo il successo degli Sleaford Mods pare essere il nuovo trend da imitare , tipo anche i Fountaines D.C.) ma pure alcuni tratti Ian Dury e, attenzione, persino i dimenticati Jack del grande Anthony Reyonlds (Drink it Down è una nuova Winter Comes Summer…).
Tanti ricordi ma i pezzi valgono
Aprire con un brano come Dunkirk, quasi Factory, è da pazzi, è come attirarsi subito strali ingiusti. Eppure quelle ritmiche e quelle chitarre alla fine degli anni 70 quanto le abbiamo amate. Pink Tide è una follia sonora che pare incrocio tra Bush Tetras e la scena post Pop Group eppure la ascolti e ti piace eccome. Fad 95 che fa, Velvet Underground in salsa madchester? Il loop di Dud introduce invece la quasi Stereolabica Klub Silbberücken ma ci sento comunque un coraggio nella ricerca che spero trovi realizzazione tra pochissimo. Travel Lodge Park è un chiavistello per arrivare a Just In The Band, incubo di ogni produttore dotato di senso del pop eppure così beatamente blasfema. Grinning at the Lid, aspetta che accendo la Television…
Muted Gold tra il soave e l’irritante, come certi cibi se hai il reflusso, godi all’assaggio, soffri alla conseguenza. Up the Nurses, di nuovo cambio di registro, poco noise e un cantato molto new wave femminile. Madra Uisce, non chiedetemi perché ma questo madrigale chitarristico piazzato quasi in chiusura lo trovo il pezzo più punk della raccolta che si chiude con Last Orders che più new wave di così non si potrebbe, con un giovane Lou Reed a chiudere.
Oltre la nostalgia
Ecco, diciamo che l’ideale sarebbe un oggettivo approccio senza quelli che diventano richiami proustiani, quelli che ti fanno amare un suono perché ti ricorda qualcuno che lo usò nei tuoi tempi migliori e senza il pregiudizio che assale ogniqualvolta si viene confutati nell’affermazione “oggi non c’è più musica nuova”. Vero, o almeno per chi ne ha ascoltata per decenni, effettivamente è difficile sentire qualcosa di nuovo, ma in fondo le note son sette. Il tutto per dire che nell’arco di 35 minuti ho potuto ascoltare senza aver bisogno di schippare 13 canzoni che se anche non lasceranno il segno nella storia della musica mi hanno comunque fatto venire tanta di quella nostalgia da aver voglia di rimetterlo su, come una compilation. Termine che non uso in termini dispregiativi ma incoraggianti.
Per chi ama un certo suono Silverbacks – Fad vale più dell’ennesima ristampa
Eppure ho amici più o meno della mia generazione che comprano sempre l’ennesima ristampa delle stesse band e che, se volenterosi, potrebbero anche comprare questo simpatico disco per l’estate 2020, ma loro non hanno un Direttore come il mio… A proposito, lo so, non posso esimermi sempre dal dire la mia su quasi ogni pezzo degli album che recensisco a meno che non si tratti di opere coese e senza bisogno di diagnostica aurale. Perdonatemi, son schiavo del didascalico ascolto e dell’analisi il/logica. Poi potete sempre non leggere…
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