Eve Owen e l’esordio discografico di una ‘predestinata’
Una volta i giovani erano impulsivi. Ora, forse, le cose sono cambiate. Eve Owen ha vent’anni e per incidere il suo album d’esordio ne ha impiegati tre. O meglio tre estati successive durante le quali ha sfruttato le vacanze scolastiche per traversare l’Atlantico e recarsi nello studio di Aaron Dressner dei National a incidere le canzoni che sarebbero apparse in Don’t Let The Ink Dry. Negli stessi periodi ha anche cantato in qualche pezzo del gruppo e in qualche data dei loro tour. Considerando che molti suoi coetanei occupano le loro vacanze sballandosi a Ibiza, la ragazza risulta subito ammirevole anche a chi, come l’autore di questa recensione, non apprezza troppo i National.
L’ispirazione di Eve Owen
Si potrebbe dire che è tutto facile per una che arriva da un contesto tutta spettacolo, savoir faire e e cultura: attori la madre e il padre (il noto Clive Owen), regista la sorella Hannah. Inoltre, da una rapida scorsa ai siti inglesi frivoli, pare trattarsi di famiglia unita e felice. Insomma, rispetto al cliché dell’arte che nasce da travaglio e disfunzionalità (Soccer Mommy, ad esempio) siamo proprio altrove. Semmai si può parlare di naturale disposizione per l’arte sempre e comunque, come dimostra, ad esempio, il video di Mother.
Inevitabile dunque che qui si ascoltino canzoni delicate, meditative in alcuni casi molto attraenti, tra chitarra acustica, piano e abili tocchi di archi o elettronica (complimenti a denti stretti ad Aaron Dressner). Qualche turbamento emerge qua e là e un paio di curiosi soprassalti d’irrequietezza si ascoltano in chiusura di Blue Moon e She Says. Per abusare del solito William Blake le si potrebbe definire canzoni di innocenza che diventa esperienza e che, in Tudor e After The Love, si avventurano in un mondo dai contorni misteriosi affine a certo folk inglese ’60-’70. Vuoi vedere che mamma e papà Owen da giovani sentivano Forest e Ian Dukes De Grey…
Don’t Let The Ink Dry fra prime certezze e belle promesse
Don’t Let The Ink Dry è un’ottima opera prima che mostra una tendenza all’esplorazione sonica destinata a dare, si spera, ulteriori proficui risultati. Inoltre, insieme alle recenti uscite di Fiona Apple, Laura Marling e Phoebe Bridgers, spinge a dire che, forse, la canzone d’autore al femminile è diventata la canzone d’autore tout court. Se si tratti di fenomeno momentaneo o di trend duraturo solo il tempo potrà dirlo.
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