Decimo album per Sleater-Kinney: Path Of Wellness.
Diamo i numeri: decimo album per Sleater-Kinney, Path of Wellness è anche il terzo dopo la reunion del 2013 nonché, o meglio soprattutto, il primo dopo l’uscita di Janet Weiss, dotatissima batterista del trio, che oggi si ritrova duo. Carrie Brownstein e Corin Tucker proseguono con la touring band ad aiutare anche in studio. Pare che Weiss sia andata via per disaccordo sulla strada intrapresa con il disco precedente prodotto da St. Vincent, che in effetti rappresentava un cambio di rotta con la pesante influenza da lei esercitata.

Peccato, perché questo Path Of Wellness ritorna a un suono più tipicamente Sleater-Kinney, pur senza plagiare quanto già fatto. Anche perché nella loro carriera la band ha evitato la monotonia: fra il suono diretto degli esordi metà anni 90 e la complessità di The Woods (2005), il disco prima dello hiatus, c’è una bella differenza. È una scelta soprattutto di maggior semplicità, visto che Brownstein e Tucker si autoproducono.
Lo stile del disco
Path Of Wellness si apre con la title track che mostra bene la direzione di Sleater-Kinney: ritmica pulsante e voci prima dell’ingresso di linee di chitarre post-punk, il tutto pulito e diretto. Il legame con gli esordi si sente soprattutto a partire dalla traccia successiva, High In The Grass, le chitarre sghembe, elettriche ed acustiche si intrecciano in una ballata veramente riuscita dal punto di vista melodico. A metà disco ecco Shadow Town, altra ballata elettrica ed elettrizzante che rimanda a Patti Smith, a tratti persino nella voce. Per chi scrive è il momento migliore di un disco che comunque ne ha parecchi, uno di quelli che attenderesti con ansia in concerto.
Con Path Of Wellness Sleater-Kinney abbracciano senza complessi una dimensione più propriamente rock che incorpora un po’ tutte le loro influenze del passato, dal punk al post-grunge all’indie DIY. Inclusi magari i testi un tantino sloganistici a forte matrice femminista, come in Complex Female Characters (già il titolo …) dove cantano, da un punto di vista maschile, I like those complex female characters / But I want my women to go down easy.
Una conferma per il duo, sperando che torni trio
Nei quaranta minuti c’è qualche passaggio meno riuscito di altri, ma nel complesso il disco è solido, a tratti molto coinvolgente. Convince l’approccio apparentemente semplice scelto da Brownstein e Tucker, più preoccupate di trovare melodie che funzionano e di avvolgerle in trame strumentali vivaci, che non di inserirsi in generi e correnti, o di cercare novità a tutti i costi: a questo punto Janet Weiss potrebbe anche tornare.
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