Solange – When I Get HomeColumbia - 2019

Dopo il successo di A Seat At The Table, Solange torna con When I Get Home.

Solange – When I Get Home
Columbia – 2019

Sembrava dovesse uscire alla fine del 2018, il nuovo disco di Solange. Poi un silenzio di un paio di mesi ed ecco all’improvviso When I Get Home, seguito dell’acclamato A Seat At The Table. È arrivato con una lista di invitati notevoli, e anche disparati quanto a background musicale: da Panda Bear a Gucci Mane, dal fido Dev Hynes al produttore di grido Metro Boomin, dagli amici Tyler the Creator e Earl Sweatshirt alla superstar Pharrell, da Playboi Carti a Scarface. Ce ne sarebbero molti altri, a dire il vero, ma in When I Get Home tutto ruota intorno a Solange, che scrive e canta pressoché ogni momento. Per quanto pregiati, gli ospiti sono comparse.

When I Get Home: un disco diverso dal precedente

A Seat At The Table ha portato a Solange i riconoscimenti meritati. When I Get Home è tuttavia un affare piuttosto diverso. In comune i due dischi hanno la totale immersione in una black music senza alcuna concessione al pop; semmai sono il soul e il jazz gli stili che vengono in mente. Atmosfere raffinate che su questa nuova prova si fanno quasi eteree. Non ci si aspetti il trionfo di inni come Dont Touch My Hair o F.U.B.U., perché in When I Get Home non sono le canzoni a emergere, bensì i momenti o l’insieme, visto che ogni brano sfuma nel successivo. Non stupisce che non siano usciti singoli: non è solo la ricerca dell’effetto sorpresa, ma l’impossibilità di estrarne uno.

Solange come Frank Ocean?

Il primo ascolto è spiazzante. Mi sono ritrovata in un attimo al quarto brano, Way to the Show, pensando di essere ancora all’inizio del disco. Complice il fatto che, fra interludi e canzoni, When I Get Home è diviso in 19 tracce per quaranta minuti scarsi. L’unico paragone che viene in mente è con il Frank Ocean di Endless e Blonde: dopo un disco perfettamente compiuto qual era Channel Orange, tira fuori due dischi composti di atmosfere, momenti, solo a volte vere e proprie canzoni.

Dischi sperimentali nel vero senso del termine, anche se giocavano con molti elementi già sentiti. In un certo senso Solange fa lo stesso, magari con qualche difficoltà in più. Nessuno come Frank Ocean è in grado di far emergere una melodia che ti lascia senza fiato anche se dura una manciata di secondi. Solange non è a quel livello, tuttavia anche When I Get Home è ricco di momenti così.

When I Get Home, un disco al quale dedicare tempo

L’inizio di Time (Is) con Sampha, per esempio, è una meraviglia. Ci sono altri brani che restituiscono la sensazione di essere in studio, tanto i suoni sono vivi, come Almeda e Binz. Altri in cui l’umorismo di Solange trionfa, come in My Skin My Logo, in cui il marchio Gucci è richiamato di continuo: ovviamente ospita Gucci Mane.

Ci si può chiedere come farà, Solange, a trasporre tutto questo nella dimensione live, nella quale peraltro è brava. Magari in un club funzionerebbe, ma in un festival? Vedremo… È un disco difficile When I Get Home per chi (me inclusa) è soprattutto abituato a giudicare con il metro delle canzoni. Ci vuole uno sforzo per farsi sommergere e assorbire, ma siate certi che ripaga.

Solange – When I Get Home
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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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