Sparks: settantenni da invidiare.
Metti che una sera di luglio di due anni fa ti ritrovi con due amici più o meno coetanei (vero Mauro e Giacomo?) sotto il palco di un’arena estiva a saltellare come un giovine mentre si stanno esibendo due più o meno settantenni. Li accompagna una band di new wavers scozzesi che hanno circa la metà dei loro anni.
Metti anche che il duo dia decisamente dei punti, in termini di energia, tenuta e spettacolo, alle nuove leve, a metà show già annaspanti.
Ora, per i profani, si parla degli FFS ovvero il connubio tra Franz Ferdinand e Sparks.
Sparks, ovvero l’intelligenza applicata al pop
Ecco, partendo da li, arriviamo all’odierno Hippopotamus, 24° album in studio di una delle più innovative, intelligenti e sottovalutate (perlomeno sul suol patrio, in Francia sono delle divinità) bands che abbiano mai attraversato almeno cinque decadi di musica.
Dubbio: parto dal remoto e racconto nuovamente la storia dei fratelli Mael, Ron e Russell, oppure parlo del nuovo disco facendo finta che tutti sappiano di chi stiamo parlando? Faccio un misto, è ancora estate.
Precisiamo quanto detto sopra. Una delle assolute particolarità degli Sparks, oltre la ricchezza di varietà sonora, sta nei testi, sempre e comunque ad opera del “fratello baffuto” Ron Mael. Costituiscono una cifra stilistica decisamente unica e per gli anglofoni rappresentano almeno l’80% del piacere d’ascolto. Questo fa la differenza con il pubblico nostrano (a meno che uno non voglia andare a leggersi le parole o sia avvezzo alla lingua straniera).
Hippopotamus è, ancora una volta, un lavoro notevole
Ergo, arriviamo all’odierna emissione nuovamente a firma Sparks. Hippopotamus è, fuor di dubbio, uno dei loro migliori lavori autonomi degli ultimi anni. Propone e non propina quindici canzoni killers, di quelle che si insinuano nella memoria e che ti ritrovi a canticchiare (meglio se solo nella testa in quanto col falsetto non so come siamo messi) e che lasciano il sapore del “rimetto da capo su il disco” che da tempo è difficile ritrovare.
Anche qui, si ribadisce, i testi sono un profluvio di citazionismo, cabaret alto, e persino politica contemporanea che devono essere ascoltati o letti. Metto qualche titolo per dare l’idea: Scandinavian Desing, Giddy Giddy, Life With The Macbeths, So Tell Me Mrs. Lincoln Aside From That How Was The Play…
Comunque grande qualità e quantità, da Stravinskij al Glam, passando per Ibiza e Ikea, da dialoghi con il Creatore destinati a rimanere inascoltati e da Shakespeare a Edith Piaf, in un sinestetico tourbillon terapeutico e consapevole di esserlo.
Ogni dieci anni auguro lunga vita agli Sparks. Ci sosteniamo a vicenda, mi sa.
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