Squid - O Monolith

Con O Monolith gli Squid lasciano il segno. Anche se, alla fine, non potrete fare a meno di esclamare: cosa ca**o abbiamo ascoltato!?

Che la giovane band inglese avesse intenzioni serie lo si era capito dal debutto in grande stile di due anni fa. Bright Green Field, l’album in questione, ha convinto all’unisono gran parte della critica e entusiasmato il pubblico più esigente. Gli Squid, erroneamente collocati nel calderone delle nuove band “post-punk d’oltremanica, hanno dimostrato da subito un’attitudine che spaziava verso ambiti ben più complessi. Oggi il quintetto londinese torna con un lavoro articolato che parte da molto lontano, molto prima del punk al quale avevano distrattamente strizzato l’occhio in qualche momento dei precedenti lavori (quattro EP oltre all’album d’esordio). O Monolith – pubblicato da Warp –  è un disco indefinibile e di difficile collocazione. Si parte dal prog, si passa per il krautrock fin oad arrivare al funk e al jazz più contemporaneo; il tutto miscelato con un’energia nervosa e straordinaria. L’album è un tripudio di chitarre, fiati, synth fuori controllo e al di là di una qualunque confort zone. Gli Squid sono spudorati nel proporre coraggiosamente un pastiche di composizioni atipiche dove l’elettronica si fonde con le contorsioni acustiche e le percussioni scandiscono ritmi ossessivi e inquieti. Difficile restare indifferenti. O Monolith può intrappolare nel loop ossessivo lasciandoci con la voglia di riascoltare tutto ad libitum, oppure irritare al trentesimo secondo senza remissione.

Le nuove canzoni, un progetto ambizioso

Otto nuovi brani, mediamente lunghi, per un disco potente e a tratti pretenzioso che ha già allertato stampa e blogger. O Monolith, quantomeno, incuriosisce e pare faccia figo parlarne. In effetti siamo davanti a uno dei progetti più ambiziosi e strampalati dell’anno in corso. Si parte con Swing (In A Dream), primo singolo estratto, e ottimo biglietto da visita per quel che segue. La melodia multiforme e il ritornello quasi orecchiabile potrebbero far pensare al prodotto “finito” di una canzone di Thom Yorke. Si prosegue con Devil’s Den, ottimo lampo di passaggio utile a far capire la sagomatura del tutto. Si arriva quindi a uno dei momenti migliori, Siphon Song, una ballad per chitarra arpeggiata e vocoder che cresce fino all’esplosione cacofonica su un finale orchestrale da brividi. Si procede con gli altri due singoli usciti: Undergrowth e The Blades. Sono veri e propri assalti frontali, gli Squid spingono sul tono muscolare che fa parte della variegata cifra stilistica dell’album. O Monolith si conclude degnamente con una suite d’avanguardia che riassume l’attuale Squid-pensiero: If You Had Seen The Bull’s Swimming Attempts You Would Have Stayed Away.

Della produzione si occupa il “Re Mida” Dan Carey (Fatboy Slim, Franz Ferdinand, Fontaines DC, Kate Tempest, Wet Leg per fare qualche nome) che mette a segno un altro colpo da ricordare. C’era bisogno di un disco così!

Squid – O Monolith
8,5 Voto Redattore
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Ha suonato con band punk italiane ma il suo cuore batte per il pop, l’elettronica, la dance. Idolo dichiarato: David Byrne. Fra le nuove leve vince St. Vincent.

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