st vincent daddy's home

St. Vincent 2021: “A benzo beauty queen”

St. Vincent - Daddy's Home
Loma Vista – 2021

“So who am I trying to be? A benzo beauty queen?” (The Melting Of The Sun)

Ennesimo cambio d’abito per una delle artiste più acclamate del terzo millennio. Anne Erin Clark, aka St. Vincent, non ama certo dormire sugli allori. Il trasformismo ce l’ha nel dna e una delle caratteristiche più evidenti della sua arte è proprio la non comune, poliedricità.

Da dieci anni a questa parte, dopo il disco a quattro mani con David Byrne (Love This Giant), la ragazza di Tulsa, oggi alle soglie dei quaranta, ha anche deciso di diventare un’icona dello star system riuscendo a essere sempre un passo avanti rispetto a colleghi e colleghe. Tutto ciò mettendo anche in piedi un’immagine studiata ad arte per stupire ed apparire a tutti i costi dannatamente “cool”. Eccola quindi eterea e pallida per l’album omonimo del 2014, sul quale pesava l’eredità di un padre putativo come David Byrne e l’elettrodance era la cifra stilistica dominante.

Tre anni dopo con Masseduction, emblematica la copertina, Annie spinge sulla sensualità, e le canzoni del disco in questione ben si adattano all’abito indossato. Le atmosfere si fanno più calde strizzando l’occhio al funk  e all’R’n’B e l’avvicinamento a un altro mostro sacro sorge spontaneo: Prince sembra proprio aver sfiorato con la sua aura la title track. Il tocco finale per la costruzione del personaggio di tendenza è affidata ai gossip a cui Annie non si sottrae. Ovviamente la ragazza “deve” essere “gender fluid” e farsi fotografare con la compagna Cara Delevingne. La sua personalità è, per esigenze di copione, funestata dal “Generalised Anxiety Disorder”, grazie alla cui sublimazione riesce a produrre la sua musica. Inoltre corre voce che rilasci solo interviste scritte. Bene, l’operazione “seduzione di massa” è servita e perfettamente riuscita. Chapeau!

Daddy’s Home: Annie I’m Not Your Daddy (Kid Creole 1982)

In un periodo in cui gli anni ’80 non mollano la presa e sembra che tutto quel che esce di nuovo affondi le radici nel (presunto) fantastico decennio, St. Vincent non poteva adattarsi a tanta dozzinale ordinarietà e pubblica Daddy’s Home.  Senza indugi eccola catapultarsi nella lisergica New York anni 1970-1975. Il tuffo nel passato è la colonna portante dell’intero nuovo lavoro, ma, chissà come mai, l’operazione è così smaccatamente vintage-filologica da non suscitare nostalgia o tedio.

Caschetto biondo, sguardo svagato, look adeguato alla situazione ed ecco la St, Vincent d’annata: una “benzo beauty queen” come recita uno dei brani migliori di Daddy’s Home, The Melting Of The Sun. Il papà è tornato a casa finalmente dopo dieci anni di carcere per frode fiscale. Non si capisce come mai la notizia, non propriamente à la page, sia stata sbandierata dalla stessa St. Vincent, forse una nuova strategia di marketing? A bene vedere tutto ha un senso e l’atmosfera che aleggia sul nuovo lavoro nasce dai dischi che il signor Clarke faceva ascoltare alla figlia in tenera età. Daddy’s Home è costituito da un esercito di riferimenti e citazioni di un’epoca d’oro del rock e Annie riesce a maneggiare e rinegoziare con grande abilità modelli stilistici che hanno fatto la fortuna di artisti e band collocati oggi nelle varie Halls Of Fame. Da Joni Mitchell agli Steely Dan per arrivare al David Bowie di Young Americans, Daddy’s Home è il disco più raffinato, personale e sofisticato di St. Vincent. Un disco costruito grazie a un abbinamento perfetto di lapsteel guitar, sitar elettronici, percussioni pacate, cori e voce che raramente indugiano ai potenti ritornelli di Masseduction, ma si soffermano su linee melodiche più serene/sedate e comunque di alto livello.

Le nuove canzoni di St. Vincent

Undici nuovi brani e tre interludi piacevoli e stralunati è quanto ha da offrire il nuovo corso di St. Vincent. Si parte col primo singolo: Pay Your Way In Pain è uno dei pezzi forti del disco in cui synth aspri accompagnano una melodia dall’impatto immediato. Ottimo biglietto da visita.  A seguire Down And Out Downtown, una ballata che regge benissimo tra atmosfere soul vagamente jazzate e un ritornello azzeccato. Dopo la title track, non particolarmente avvincente, si arriva a uno dei momenti più interessanti. Live In The Dream è un incantesimo sonoro che si sviluppa sul modulo strofa-ritornello prendendosi tutto il tempo necessario per convincere, se non al primo ascolto, a quello successivo.

Proseguendo nel percorso, non sempre al top a causa di qualche episodio che non decolla, ci si imbatte in altre perle che valgono il disco. La già citata The Melting Of The Sun coinvolge e trascina immediatamente. Il gioco di scambi tra la voce di St. Vincent e le coriste è semplicemente irresistibile. Down è un ritorno alle origini, un funk martellante e perfetto nel miglior stile St. Vincent/David Byrne. Non mancano gli episodi più pop, ovviamente declinati in chiave vintage per l’occasione e sepre piacevoli .Somebody Likes Me e l’omaggio finale a Candy Darling, la superstar transgender della Factory di Andy Wharol, chiudono l’ennesimo capitolo riuscito di una outsider alla moda dalla quale è lecito aspettarsi ancora molto.

St. Vincent – Daddy’s Home
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Ha suonato con band punk italiane ma il suo cuore batte per il pop, l’elettronica, la dance. Idolo dichiarato: David Byrne. Fra le nuove leve vince St. Vincent.

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