Stella Burns riesce finalmente a raccontarci le sue Long Walks in the Dark.

Non son facile agli amori intestini, non son facile agli amori genitali e quando oggi qualcosa mi seduce e mi trasporta trattasi di amore doubleface, di risvegliati sensi ed epidermiche escursioni.

Già ebbi modo di trattare di Stella Burns, il bell’alias di Gianluca Maria Sorace, creatura di sabbia, finanche marziana, di chaparrals in bianco e nero che vorticano ai giri che ognun preferisce e di infinite derivazioni di una frontiera solo iconograficamente go west young man, ma che cela un’anima che va da Tenco a Bowie, passando da una Tijuana al crepuscolo ed abbracciando, di nuovo, le pagine di Chiedi alla Polvere e il comune amico Anthony Reynolds.

La complessa, dolorosa genesi di Long Walks in the Dark

Il nuovo lavoro di Stella (la scelta del nome fluido è tutta di matrice bowiana) è passato sotto le forche caudine di ripetuti lutti che, a parte il più vicino e personale, ancor vivono nelle voci e nei suoni di queste canzoni brumose ed ammalianti quanto lo può essere l’affacciarsi sul cemento per immaginarsi di essere altrove. È passato ed è frutto di un sopravvivendo all’hannus horribilis iniziato nel 2020 e non ancor viralmente passato, ma ha colpito, eccome se ha colpito.

Tante le storie che in Long Walks into the Dark (Brutture Moderne/Love & Thunder)  si posson leggere auralmente. Riecheggia la voce di Dan Fante, figlio del più noto John in I Want To Be Dust When I’m Done. E ancora di polver si parla, partecipazione ancestrale ad un progetto poi irrealizzato degli Hollowblue, prima creatura di Stella, che già si videro sodali in tal guisa proprio con il succitato Reynolds con la stupenda Io bevo – cercatela e la amerete.

Gli amici di Stella Burns

Molti volti appaiono in questi suoni, a tratti si colgono persino i Fab Four più bucolici in Long Black Train ma anche quelli più psych in The End of The Snowfall; Mick Harvey (si, quel Mick Harvey…) si affianca a Stella in My Heart Is A Jungle con l’eleganza del musicista e non la protervia del maestro; l’iniziale Amor trasuda mescal e bicchieri d’anice al tempo stesso e si aggiunga pure la partecipazione di Ken Stringfellow  dei Posies e R.E.M. in The End of The Snowfall per chiarire come l’artista in questione sia già considerato a ben altre stregue che non, al solito, in questa trappica penisoletta.

I miraggi indotti conducono talvolta al tavolo con Lynch e Badalamenti che, bonariamente, offrono la cena al Nostro mentre parte il valzer obliquo di Her Kiss Your Smile, curiosi di dove andrà a parare se continuerà così, mentre suggestioni berlinesi si celano dietro frange e cappellone come in Stupid Things, a me non la si fa caro Burns, sento tutto… E persino quando nel sussurrato duetto di Make a Wish con Marianna D’ama  appare arduo non veder Lee Hazlewood sorrider da lassù.

Per afflato di simpatia aggiungo anche la simpatica citazione del bicchiere di latte presente nella cover, una cracked actor dedica a cui mancano i peperoni e chi sa di qual  dieta e di chi si sta parlando avrà poche difficoltà ad amare incondizionatamente questo labour of absolute love.

Per me già ha già un posto sul podio del 2024, il buon Star/dust.

Stella Burns - Long Walks in the Dark
8,5 Voto Redattore
0 Voto Utenti (0 voti)
Cosa ne dice la gente... Dai il tuo voto all'album!
Sort by:

Be the first to leave a review.

User Avatar
Verificato
{{{ review.rating_title }}}
{{{review.rating_comment | nl2br}}}

Show more
{{ pageNumber+1 }}
Dai il tuo voto all'album!

print

Collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d'accordo con lui e che , invece, i musicisti adorano.

Lascia un commento!

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.