Portando tutto a casa: Sturgill Simpson – Cuttin’ Grass.
Nella Billboard Country chart a fine dicembre erano presenti ben due album bluegrass, entrambi di Sturgill Simpson che riportava nelle classifiche per la prima volta da tempo un genere che non è solito frequentarle. Infatti contemporaneamente alla re-entry di Cuttin’ Grass vol 1 The Butcher shoppe sessions (copertina con Sturgill Simpson a cavallo di tagliaerba John Deere nei colori del brand), si piazzava anche The Cowboy Arms Sessions il Vol. 2 dalla stessa copertina ma warholizzata in blu.
Questo secondo album è la naturale prosecuzione del predecessore e compie quell’omaggio di Simpson, ormai di base a Nashville ma originario del Kentucky, alle proprie origini, a quel Bluegrass State lungo la cui highway 23, non per niente sono nati tanti musicisti, da Loretta Lynn, a Dwight Yoakam, a Stapleton, a Ricky Skaggs, a Billy Ray Cyrus.
Take your zirtec we are cuttin some grass!
Registrato al Cowboy Arms Hotel and Recording Spa di Nashville, erede del glorioso studio di “Cowboy” Jack Clement, l’album ripropone lo stesso “taglio” del precedente, con la guida dell’amico e produttore Dave Fergie Ferguson e i medesimi pickers, gli Hillbillies avengers, con i quali ha tenuto un memorabile concerto al Ryman lo scorso giugno. Sturgill rielabora per lo più i brani del suo terzo album, A Sailor’s Guide To Earth (fra l’altro originariamente composto con la Martin acustica) fondendoli con le più classiche sonorità bluegrass e dimostrando se ce ne fosse bisogno, che un fast picking è dirompente tanto quanto il rock.
Sturgill Simpson musicista atipico
Sturgill Simpson infatti, tanto è atipico nella scena country, tanto è tradizionale nel mantenere i canoni della musica bluegrass, calandovi tuttavia i suoi testi molto personali e contemporanei che parlano di guerre, di politica, di incertezza, di delusioni date e ricevute. E questo da una parte contribuisce a dare nuova vita ai pezzi, e al contempo a portare il bluegrass fuori dai suoi confini geografici e anche antropologici, in continuità con quel recupero della tradizione iniziato con la colonna sonora di O Brother where art thou? dei Cohen ormai venti anni fa e che è stato l’occasione per una rilettura della tradizione in chiave contemporanea. “Un giorno questa musica ti entrerà dentro e non ne uscirà piu” diceva nonno Ora, un bluegrass freak che lo ossessionava con le cassette-reperti dei vari festivals che raggiungeva a bordo del suo camper. A quel ragazzino di otto anni che ascoltava Cream e Zeppelin sembrava impossibile, ma invece aveva ragione, e questi due volumi ne sono la conferma
Le canzoni di Sturgill Simpson – Cuttin’ Grass Vol. 2
Call to Arms, il brano che apre, mette subito in chiaro cosa ci aspetta: alle ballatone rock con i fiati della versione originale si sostituiscono banjo e violino velocissimi su un testo davvero poco patriottico in cui si mettono in guardia i figli dell’America più tradizionalista, dagli arruolamenti in nome dei conti da pagare più che della libertà. Sturgill, che fra i suoi mille lavori ha anche un esperienza nella Marina, ne sa qualcosa come ricorda anche in Sea Stories poco dopo. Brace For Impact, fra le più riuscite, perde la sua cupezza originale (We’re dyin’ to live Living to die No matter what you believe) sciogliendosi in un languore di banjo e violino, così come la dolce Oh Sarah, dedicata alla moglie, acquista molto ritmo e scorre come un ruscello dagli Appalachi laddove la versione originale stentava ad acquistare fluidità.
Dopo Hero, dedicata al padre, ancora una storia personale, Welcome To Earth, una ninna nanna per il figlio appena nato, in cui nella seconda metà irrompe un vertiginoso crescendo di banjo perfetto per questa celebrazione della vita. Seguono Jesus Boogie un gospel sui generis e Tennessee entrambi pezzi dei Sunday Valley, prima band di Simpson, acerbi nella originale versione e molto più a loro agio con le sonorità bluegrass.
Sturgill Simpson – Cuttin’ Grass omaggia Merle Haggard
L’album si chiude con l’inedita Hobo Cartoon, scritta dal grande Merle Haggard, cui Simpson spesso è stato paragonato e a cui lo legavano stima e amicizia. Leggenda vuole che il testo gli sia stato inviato da Merle con un sms dall’ ospedale, poco prima di morire, nel 2016, e che poi Simpson, dopo averlo tenuto in un cassetto, lo abbia finalmente ultimato aggiungendo una semplice ed efficace melodia chitarra acustica e violino. Valeva la pena aspettare: un pezzo pieno di nostalgia, una railroad song crepuscolare, un omaggio alla tradizione musicale del singing brakeman Jimmie Rodgers, e a quella narrazione sugli hobos che saltavano da un treno all’altro diretti verso ovest, in quegli heydays dove si poteva dire che some things are great to remember, some are too good to forget.
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