Little Eden: il “riportando tutto a casa” di The Bevis Frond.
Ai tempi del primo album Inner Marshland (1987) Nick Saloman/The Bevis Frond veniva considerato un revivalista psych-garage con inclinazione per le jam di chitarre acide. Ai tempi dell’ultimo – per ora – album Little Eden (2021) Nick Saloman/Bevis Frond è considerato un classicista rock, una figura di riferimento paragonabile a personaggi nobilmente alternativi quali J Mascis, Bob Mould e Julian Cope.

Little Eden si propone come pezzo importante della discografia bevisfrondiana, anzi un pezzo monumentale visto che consta di venti canzoni per un’ottantina di minuti di musica. Quantità a parte, la monumentalità sta in primo luogo nel suo essere un compendio delle possibilità sonore esplorate da Saloman in oltre 30 anni di carriera.
The Bevis Frond – la musica di Little Eden
C’è il rock rombante, anthemico dell’iniziale Everyone Rise, ci sono le grandi svise chitarristiche di Dreams of Flying e c’è il folk-rock guizzante di Little Eden. Quanto a Numb in the Head. provate a immaginare la voce di Saloman sostituita da quella di Michael Stipe e avrete un eccellente pezzo dei R.E.M. Un altro è però l’ambito in cui Little Eden lascia il segno ed è dove la musica rallenta e prende una piega meditativa. Parliamo di They Will Return, There’s Always Love e As I Lay Down To Die, tre momenti fondamentali, come vedremo, anche dal punto di vista testuale. Nell’insieme si può dire che, data la presenza di alcuni momenti un po’ manierati, è consigliabile l’ascolto in due parti. Chiaro che riducendo la scaletta a 12-13 titoli si sarebbe ottenuto un quasi capolavoro, ma si sarebbe anche persa l’idea, assolutamente centrale, di compendio sonoro e umano.
The Bevis Frond – le parole di Little Eden
Il secondo elemento di monumentalità di Little Eden è dato dalla dimensione “riportando tutto a casa” delle liriche. Superati (da un po’?) i 60 anni Saloman guarda il mondo tra l’infastidito e il riflessivo con qualche scossone di rabbia e più di una punta di malinconia. Alcuni commentatori hanno visto nel “pagliaccio spaventoso” subito citato in Everyone Rise una stoccata a Boris Johnson, tuttavia gli elementi politici non sono troppo vistosi. Più evidente è semmai la critica sociale che talora assume connotati obliqui come nel ritratto del solitario giardiniere urbano a cui dobbiamo riconoscenza di The Man in the Garden. Quanto alla title track, e al suo “piccolo eden in cui è sempre più difficile respirare”, non è difficile vederla come un ritratto delle bolle di falsa serenità in cui vivono i più fortunati.
A più riprese compare l’idea dell’uomo vicino alla terza età che si confronta con un mondo ormai poco interessato a lui. Ecco allora l’invettiva di Without Me: “Siamo vecchi? Siamo malati? Siamo calvi? Sanguiniamo? Puzziamo? E che dire se tutto questo si applicasse a me? […] Bene, potete fare senza di me”. In They Will Return si parla invece del rapporto con i figli: ”Non hanno troppa voglia di sentire quello che hai da dire/ Ma ti scopri a pensare/ Che non vorresti vivessero così lontano/ Un giorno ritorneranno / Un giorno ritorneranno”.
“Morte e resurrezione” di Nick Saloman
Infine c’è il caposaldo psichedelico As I Lay Down To Die. Qui Saloman abbandona il realismo di molti altri momenti per immaginare una situazione che uscita da un film horror della Hammer. Poi però arriva la svolta: “Pane e ragione sono tutto quel che ci necessita per guarire/ E mentre sorgo dal mio sarcofago/ Sono più alto di quanto mai sarò”. Una resurrezione dunque e un messaggio di speranza per un artista che in effetti si dimostra vivo e vitale. A dispetto dell’età e a dispetto del mondo.
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