Recensione: The Mountain Goats – Dark In HereMerge - 2021

Voci dal buio: The Mountain Goats – Dark In Here

È buio qui dentro ci dicono i californiani Mountain Goats, alla loro ultima prova di una carriera che festeggia quest’anno il suo trentennale: Dark In Here. Quelle che ci offrono John Darnielle e soci sono voci e suoni figli di quest’ultimo anno e mezzo che ha rivoluzionato la vita di tutti. Canzoni che nascono nel periodo immediatamente precedente a quella totale e inquietante immobilità che ha costretto le persone a trovare dentro di sé la forza e le ragioni per tirare avanti e cercare di uscire dal buio.

Evidentemente John Darnielle il talentuoso leader della formazione aveva urgenza a licenziare questa sua opera, visto che il disco segue di appena un anno il precedente ottimo Getting Into Knives e rispetto al predecessore il clima è ovviamente più autunnale, con piccoli quadri in chiaroscuro. Registrato nella terra d’oro dei Muscle Shoals, ai Fame Studios, Darnielle, affiancato dai fidi Peter Hughes al basso e Jon Wurster alla batteria, si avvale delle preziose collaborazioni di due colonne portanti del suono Muscle Shoals, ovvero Spooner Olham alle tastiere Will McFarlane alla chitarra.

Pop americano al Fame Studios

E infatti il suono è pieno e corposo, anche se non ci si deve aspettare sonorità alla Percy Sledge o all’Aretha che hanno segnato la leggenda dei Fame Stodios; qui ci sono canzoni di pop americano, che pur se intrise di una costante malinconia di fondo sono di quelle che fanno stare bene, che ti avvolgono in un caldo abbraccio e ti conquistano piano piano. Si entra in pista con il piccolo abbozzo iniziale di Parisian Enclave, desert song con chitarra acustica a dettare un ritmo simil-flamenco e piccoli tocchi di piano e tastiere; si passa poi a quello che a mio parere è il picco del disco, uno di quei pezzi inesorabili che ti si insinuano sottopelle e non ti mollano più, The Deconstruction of the Kola Superdeep Borehole Tower, acustica e batteria a dettare un ritmo irresistibile, con l’organo di Oldham a ricamare insieme a piccoli lampi di elettrica.

Pezzo fantastico, quasi ballabile che richiama nel titolo la meravigliosa storia del pozzo sovietico di Kola (storia incredibile, se come me non la conoscete, fate un salto su wiki a leggerla e rimarrete folgorati). Ancora, la ballata di Mobile, pezzo che sarebbe piaciuto a Tom Petty, una ninna nanna da suonare e cantare introno al fuoco, con la chitarra elettrica di McFarlane a tessere un mirabile assolo in perfetto equilibrio tra delicatezza voglia di muovere i piedi. Da lì si alla furia rumorosa della title track, per poi virare al quasi jazz di Lizard Suit e al Donald Fagen apocrifo della stupenda When a Powerful Animal Comes, che chiude una prima parte di disco che si tiene su livelli di assoluta eccellenza.

La seconda parte di The Mountain Goats – Dark In Here

La qualità rimane anche nella seconda parte, anche se qui e là qualche piccolo cedimento c’è (l’eccesso di bozzettismo di To The Headless Horseman e la scontata The New Hydra Collection), ma sono peccati veniali perché a seguire ci sono la sinuosa ed incessante The Slow Parts On Death Metal Albums e la dolce ballad in sospeso tra chitarra acustica e organo di Arguing With The Ghost Of Peter Laughner About His Coney Island Baby Review (due titoli meravigliosi tra le altre cose); si cade poi nella spirale notturna tra piano, batteria e violoncello della Before I Got There e si chiudono le danze con Let Me Bathe In Demonic Light, canzone che strappa un sorriso di dolce ottimismo, con la delicata voce di Darnielle che sussurra dolcemente tra batteria e piccole gemme di organo del sempre irresistibile Spooner Oldham, in un dimensione che qui si avvicina per gusto e melodia alla migliori cose dei Wilco meno sperimentali.

Disco di ottimo livello quindi che può in apparenza peccare di eccessiva uniformità su suoni e timbri, ma che è in grado di regalare sorprese e piccoli momenti di sollievo se solo si ha voglia e modo di scendere giù al buio insieme ai Mountain Goats.

The Mountain Goats – Dark In Here
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Classe 1965, bolzanino di nascita, vive a Firenze dal 1985; è convinto che la migliore occupazione per l’uomo sia comprare ed ascoltare dischi; ritiene che Rolling Stones, Frank Zappa, Steely Dan, Miles Davis, Charlie Mingus e Thelonious Monk siano comunque ragioni sufficienti per vivere.

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