I Notwist di Vertigo Days non cambiano e non sbagliano.

A sette anni di distanza dal loro ultimo disco in studio, Close to the Glass uscito per la Sub Pop, ecco il nuovo lavoro della band dei fratelli Markus e Micha Acher, pubblicato per l’etichetta berlinese Morr Music. Nel mezzo è uscito il live Superheroes, Ghost-Villains & Stuff che testimoniava l’eccellente resa dei Notwist nella dimensione live e faceva affiorare chiaramente la loro estrazione rock (non a caso, quando esordirono trent’anni or sono si muovevano fra hardcore e post punk). Del resto il loro ultimo tour italiano di quasi due anni fa ci aveva mostrato una band in grandissima forma, il che era di buon auspicio per questo loro Vertigo Days. Un auspicio ben riposto vista la qualità di questo nuovo lavoro.
La formula Notwist continua a funzionare bene
Diciamo subito che fondamentalmente la formula non cambia, canzoni pop che non rinunciano alla sperimentazione e uno stile che è stato definito indietronica dal mood tendenzialmente malinconico, a volte al limite dello struggente. Qualcuno potrebbe giudicarlo negativamente, come una sorta di adagiarsi sugli allori, ma per altri è invece sempre piacevole ritrovare una band dallo stile riconoscibile e personale e in grado di produrre canzoni belle e fascinose. Non c’è dubbio che la voce deliziosamente pop di Markus sia l’elemento distintivo della band, soprattutto col suo perfetto allinearsi a ritmiche complesse e geometriche di stampo kraut e a sonorità che spaziano dal post rock allo shoegaze alla psichedelia, evitando così di cadere in un lezioso romanticismo.
Vertigo Days: un lavoro ineccepibile
Gli arrangiamenti funzionano perfettamente, elettronica e strumentazione tradizionale si fondono con naturalezza contribuendo a creare la giusta atmosfera per ogni canzone. Un bel contributo è dato dai numerosi ospiti che hanno contribuito all’album. Ne è un esempio il clarinetto di Angel Bat Dawid che contribuisce all’atmosfera notturna attraversata da lampi torbidi e grumosi di Into the Ice Age. È un altro jazzista, Ben LaMar Gay, a cantare e scrivere il testo dai forti accenti politici di Oh Sweet Fire, e il suo stile caldo e determinato contrasta benissimo con la lievità di quello di Acher. Altra interessante collaborazione è quella con la cantante argentina Juana Molina, la cui voce si presta ad accompagnare i frenetici beat delle percussioni e i suoni stridenti di El Sur.
La collaborazione con Saya e i pezzi fai-da-Notwist
Molto suggestiva infine la collaborazione con la giapponese Saya, cantante del duo giapponese Tenniscoats, con il quale Markus Acher aveva dato alle stampe un delizioso album indie pop sotto il nome Spirit Fest, qui Saya canta nell’incantevole Ship dando vita a un pop ipnotico dal ritmo irresistibile, le voci di Markus e quella maliziosa e adolescenziale di Saya ammaliano inesorabili, come se i Blonde Redhead si incontrassero col pop sbarazzino delle Pizzicato Five.
Ma anche laddove il quintetto fa da solo i risultati sono ottimi, come nell’inquieta Into Love/Stars, dove la fragile voce di Markus Acher sorvola pensosa su sonorità ora liquide ora metalliche che via via si intensificano con l’irrompere della drum machine. Infine, canzoni come Where You Find Me, Loose Ends e Night’s Too Dark riportano ai fasti del capolavoro Neon Golden, ed è una sensazione piacevolissima ritrovare in forma e ispirata una band che ci aveva fatto tanto innamorare nel lontano 2002.
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