Recensione: Tracey Thorn – Record
Tracey Thorn e il suo disco “femminista”.

Caroline – 2018
Tracey Thorn è come quegli amici lontani che senti raramente, ma con grande piacere. E che ti fanno un riassunto di quello che, nel tempo trascorso, è capitato a loro e al mondo.
Tracey l’avevamo sentita circa tre anni fa nell’antologia Solo: Songs And Collaborations, in versione equamente ripartita fra cantautrice modernista e “disco queen da cameretta”. Allora era impegnata a mettere ordine fra i ricordi, tenera e arguta come sempre. Oggi pubblica Record e ha altri pensieri per la testa. Ultimamente c’è stato il caso Weinstein e le storie di donne maltrattate e Thorn ha messo insieme “dieci pezzoni femministi”. Oddio, “pezzoni” fa pensare a qualcosa di perentorio, tonante, mentre qui il piglio deciso sembra riservato alla scelta di titoli fatti di una parola sola.
Tracey Thorn affronta la questione femminile
Però è anche vero che i testi mostrano prese di posizione esplicite tipo “Sono io mia madre/ Sono io mia sorella/ E mi batto come una ragazza” o a drammatiche istantanee di vita: “Mi calpesti come il sudiciume/ Ma io sono abituata a cose che fanno male”. Prese di posizione che funzionano proprio perché espresse nel classico tono fra il partecipe e il disilluso. E perché subito accanto ci sono struggenti ritratti di vita quotidiana: “Mentre Leonard Cohen cantava Suzanne, ci siamo baciati e baciati ancora/ E poi siamo scappati via”. Alla fine il risultato è più profondamente persuasivo di mille appelli on-line.
Quanto ai suoni, Tracey ci racconta di sentirsi in versione dancefloor (che è anche il titolo di uno dei pezzi)anni ’80 e non fa mistero di ispirarsi a New Order e Pet Shop Boys . In realtà un parallelo più interessante sarebbe con il cantautore electro-cool Momus, peraltro ormai mezzo dimenticato.
Record: un bell’equilibrio fra danzabile e pensoso
Questa dimensione fra il ballabile e il meditativo è la stessa che a suo tempo fece la breve fortuna di Everything But The Girl – il duo di Thorn con Ben Watt, da diversi anni silente – e funziona ancora, sia nei passaggi più incalzanti (il singolo Queen, oppure la dilatata Sister, a due voci con Corinne Bailey Rae) sia in quelli quasi autoriali (Smoke, dalla melodia che richiama il folk inglese). La prima parte è splendida, la seconda indugia in qualche cliché mid-tempo, ovviamente perdonabilissimo.
Anche stavolta è stato bello. Ci sentiamo fra un po’, Tracey.
Be the first to leave a review.
Giornalista musicale di pluriennale esperienza, ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E’ autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume “Folk inglese e musica celtica”. E’ stato uno dei curatori della riedizione, nel 2017, degli album di Rino Gaetano. Fa parte della giuria del Premio Piero Ciampi. Si occupa di eventi di vario tipo dedicati alla musica rock.