Tracey Thorn e il suo disco “femminista”.

Tracey Thorn è come quegli amici lontani che senti raramente, ma con grande piacere. E che ti fanno un riassunto di quello che, nel tempo trascorso, è capitato a loro e al mondo.
Tracey l’avevamo sentita circa tre anni fa nell’antologia Solo: Songs And Collaborations, in versione equamente ripartita fra cantautrice modernista e “disco queen da cameretta”. Allora era impegnata a mettere ordine fra i ricordi, tenera e arguta come sempre. Oggi pubblica Record e ha altri pensieri per la testa. Ultimamente c’è stato il caso Weinstein e le storie di donne maltrattate e Thorn ha messo insieme “dieci pezzoni femministi”. Oddio, “pezzoni” fa pensare a qualcosa di perentorio, tonante, mentre qui il piglio deciso sembra riservato alla scelta di titoli fatti di una parola sola.
Tracey Thorn affronta la questione femminile
Però è anche vero che i testi mostrano prese di posizione esplicite tipo “Sono io mia madre/ Sono io mia sorella/ E mi batto come una ragazza” o a drammatiche istantanee di vita: “Mi calpesti come il sudiciume/ Ma io sono abituata a cose che fanno male”. Prese di posizione che funzionano proprio perché espresse nel classico tono fra il partecipe e il disilluso. E perché subito accanto ci sono struggenti ritratti di vita quotidiana: “Mentre Leonard Cohen cantava Suzanne, ci siamo baciati e baciati ancora/ E poi siamo scappati via”. Alla fine il risultato è più profondamente persuasivo di mille appelli on-line.
Quanto ai suoni, Tracey ci racconta di sentirsi in versione dancefloor (che è anche il titolo di uno dei pezzi)anni ’80 e non fa mistero di ispirarsi a New Order e Pet Shop Boys . In realtà un parallelo più interessante sarebbe con il cantautore electro-cool Momus, peraltro ormai mezzo dimenticato.
Record: un bell’equilibrio fra danzabile e pensoso
Questa dimensione fra il ballabile e il meditativo è la stessa che a suo tempo fece la breve fortuna di Everything But The Girl – il duo di Thorn con Ben Watt, da diversi anni silente – e funziona ancora, sia nei passaggi più incalzanti (il singolo Queen, oppure la dilatata Sister, a due voci con Corinne Bailey Rae) sia in quelli quasi autoriali (Smoke, dalla melodia che richiama il folk inglese). La prima parte è splendida, la seconda indugia in qualche cliché mid-tempo, ovviamente perdonabilissimo.
Anche stavolta è stato bello. Ci sentiamo fra un po’, Tracey.
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