Grande prova d’artista per il nuovo album di Meg Remy aka U.S. Girls: Heavy Light.
Meghan (Meg) Remy non lascia più dubbi sulle proprie intenzioni e con Heavy Light imbocca la strada giusta per il successo e per una propria collocazione nell’universo del pop. Parliamo di “pop” per convenzione e per semplificare un ambito musicale che, a ben vedere, è decisamente più complesso. L’artista canadese non è una debuttante. Nel 2008 inizia a proporsi con lavori dai contorni sperimentali caratterizzati da atmosfere lo-fi e indie. Negli anni successivi Meg sceglie il moniker U.S. Girls (una sorta d’identità collettiva) e amplia pian piano gli orizzonti fino a conquistare la stampa mondiale, e una buona parte di pubblico, col precedente lavoro In A Poem Unlimited (2018).
Heavy Light prosegue la convincente evoluzione di U.S. Girls
L’ultimo album di U.S. Girls riparte proprio dalle sonorità con cui ci ha lasciato due anni fa ampliando ulteriormente gli orizzonti. Pur giocando con la stessa cifra stilistica, Meg quest’anno non si fa mancare niente e chiama a raccolta un parterre di tutto rispetto. Ed ecco che tra i venti stimati professionisti che collaborano a Heavy Light troviamo Max Turnbull (aka Slim Twig e marito della nostra) alle tastiere, Jake Clemons, della E. Street Band di Springsteen al sax e Tim Kingsbury degli Arcade Fire alle chitarre. Ad ogni ascolto Heavy Light rivela un lato che abbiamo trascurato nell’ascolto precedente. Un riff improvviso, una soluzione bizzarra o un ritornello sghembo e irresistibile sono gli ingredienti dosati con cura per un risultato complessivo che, oltre a essere di gran classe, è anche divertente.
Le nuove canzoni
Tredici brani inediti, tre intermezzi parlati particolarmente efficaci e un pugno di canzoni di immediata presa sono la sintesi di uno dei dischi migliori di questo periodo.
Si parte con due pezzi semplici e immediati. 4 American Dollars ricorda Young Americans di David Bowie e funziona benissimo; segue il primo singolo Overtime, un brano radiofonico che ci sta. Le sorprese iniziano dopo il primo intermezzo recitato a più voci: Advice To Teenage Self, il titolo dice tutto. A questo punto si dispiega un lavoro caratterizzato da una fantasia compositiva inusuale di questi tempi. Born To Lose, Denise Don’t Wait e The Quiver To The Bomb, sono i momenti migliori: diversissimi tra loro, perfetti nella linea melodica e prodotti alla perfezione. Interessante Woodstock ’99, il brano più indecifrabile dell’intero album, dove la fusione tra MacArthur Park (capolavoro di Jimmy Webb 1968, riportato al successo da Donna Summer) e il pianoforte di Rick Wakeman in Hunky Dory ribadiscono il manifesto programmatico di U.S. Girls che, riassumendo, è il seguente: finta frivolezza…
Be the first to leave a review.