U2 - Songs Of Surrender

Glorie passate degli U2.

Complice il tasso ormonale mascherato da serio impegno, incappai per la prima volta negli U2 del primo album durante la preparazione dell’esame di maturità. Me lo propose, a pochissimi mesi dalla sua uscita, durante i ripassi di storia dell’arte, la sventurata con la quale poi mi accompagnai per un bel po’ e devo ammettere che l’ascolto reiterato di Boy mi sedò l’ormone e mi fece concentrare sulle songs, che detto così è già meta della recensione che andrete a leggere, la prima metà.

Ora devo ammetterlo, furono un buon supporto giovanile ed ogni loro emissione dopo Achtung Baby la ascoltai confidando in tracce di resurrezione ma questo compendio di 40 reinterpretazioni , alcune delle quali hanno anche le liriche cambiate, è l’equivalente dell’assistere senza via di fuga ad una puntata di quel programma condotto da un coproumano  su RAI3 tutte le Domeniche sera, di cui Bono è stato, ovviamente, pure ospite in modalità marketting, con due t, all’uscita della sua biografia che reca il medesimo titolo di questo feroce attacco agli organi riproduttivi maschili e temo pure alle sorelle gonadi.

Per la presente disamina è stato masochisticamente preso in considerazione il full monty di Songs Of Surrender, ossia il cofano con 40 canzoni pleonasticamente partenti da One e che terminano con “40” e questo è il resoconto di un sopravvissuto.

U2 a metà

Innanzitutto, la partecipazione di Mullen Jr. e Clayton è stata drasticamente ridotta a qualche guest. Praticamente tutto il lavoro è stato realizzato da Their 2 ossia Bono e The Edge. Elemento che la dice lunga sulla purezza dell’operazione, scevra di qualsiasi ombra che ne ammanti la commercialità… il giorno stesso dell’uscita è stata accompagnata dalla  messa online su piattaforma a pagamento di una doc interview con i due insieme mentre si incensano con  David Letterman, il Michael Stipe lookalike dei talk americani. Si traggano le conclusioni, d’altronde quello che diceva “state ‘bboni” (che, almeno per uno dei due, sarebbe calzato a pennello) non c’è più…

Lo stile degli U2 in Songs of Surrender

Comunque, la partenza di Songs of Surrender è programmatica e non lascia dubbi: trattasi di opera semi busker ma senza la sporcizia di una vera strada, agli U2 piace suonare nelle metropolitane a rischio, i tetti li hanno lasciati da mo’ e, se qualcuno ricorda che chi qui sapeva imbracciare una chitarra mentre il sole tramontava partiva l’omonima canzone di Battisti, ecco lo spirito vorrebbe essere questo però con una prosopopea del tutto fuori luogo.

U2 - Songs Of Surrender

Bono canticchia, sussurra, a volte persino stecca e questo è l’elemento che insinua il perturbante dubbio se sia stia ascoltando un compiaciuto giochino riempiuscite (visto che la collana songs of da un po’ latita dopo l’ultima sòla tirata al pubblico). Mentre è facile immaginare The Edge, chino sia sulle corde che sul pianoforte, con la compassata espressione tipica di chi sta realizzando la roba più immersiva del pianeta.

Non poteva mancare “l’impegno”

Cercando di rimanere imparziale sorvolo sulla ruffiana attitudine di inserire anche qualcosa di legato all’attuale panorama bellico, ma come fai? Si poteva rispolverare War ma ci voleva la passione di un tempo ed allora si ripiega su Walk On, non proprio un evergreen, si cambia qualche rima e si mette tra parentesi la squadra del cuore del momento.

Comunque i classici del passato che li consegnarono ai fasti ci sono ma son ridotti a “com’è che fa quella? La Mi Re…vai che inizio a cantare”. E quindi si sotterra In the Name Of Love in una resa bucolica, si rallenta il tiro con I Still Haven’t Found etc che pare un reading poco riuscito, ci si compiace di eseguire i primi pezzi composti ancora con i brufoli con una resa quali dileggiante e collodiana, come ero buffo quando ero ancora un burattino, ma temo che qui il processo di mutazione si sia invertito.

Qualcosa viene ripreso anche dal periodo elettro berlinese ma The Fly è finita nella carta moschicida. Lo scempio di Sunday Bloody Sunday, quando ormai si è prossimi allo sfinimento nell’ascolto, rammenta che là dove c’era passione ora c’è solo un triste karaoke pure un po’ ingolato.

U2 – Songs Of Surrender: ad arrendersi è chi scrive

Verso la fine persino I Will Follow, il fulmine a ciel sereno che colpiva l’incipit del primo album, è di melatoninica resa, ma il duo nonostante il titolo della raccolta non si arrende e prosegue impietoso castigando l’epica di Two Hearts Beat As One con una esecuzione che vorrebbe essere indie. La tentazione di sorvolare la già anonima Miracle Drug e la chi-se-la-ricorda The Little Things That Give You Away è fortissima ma tenuta a bada, perché “40” si sta avvicinando e porta a casa quello che a ciascuno apparirà come risultato.

Per vostra misericordia ho evitato le mie consuete disamine track by track ma giuro e spergiuro che l’ho ascoltato più volte in 48 ore ma forse dovevo aspettare i canonici 3 giorni per la resurrezione laica di questi ex ragazzi del Lipton Village (Gavin Friday, ti prego, chiama Bono e trovagli un hobby), ma ho lasciato ogni speranza , io sì che so quando è il momento di arrendermi.

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Collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d'accordo con lui e che , invece, i musicisti adorano.

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