Van Morrison – Moving on Skiffle

Un ritorno in eccellente forma per il Van Morrison di Moving on Skiffle.

Chiamatela come volete, retromania, operazione nostalgia, accusate pure il Grande Burbero di farla facile, con questa operazione nella quale recupera un pugno di classici del blues, folk, jazz e country delle origini, guardate anche con sufficienza il nostro uomo che si abbandona ai ricordi di quando con i pantaloni corti andava all’Atlantic Records di Belfast a cercare i dischi che potevano saziare la sua giovane e impetuosa fame di conoscenza della musica americana; fate pure come vi pare, però poi una volta che la puntina cala sul primo solco di questo gioiellino, sono sicuro che il vostro cuore farà un balzo e i vostri piedi cominceranno a muoversi, perché, fidatevi per una volta di me, questa musica sarà anche vecchia, ma riproposta con questa maestria e questo gusto è ancora una della cosa più eccitanti che si possa sentire.

Una forma di musica “povera”

Il disco segue le notevolissime prove dell’ultimo lustro (anche se con i cosiddetti dischi minori di Van Morrison in parecchi ci avrebbero potuto costruire una carriera di livello) e riprende il discorso da dove Van lo aveva interrotto una ventina di anni fa, quando incise uno spumeggiante live a Belfast assieme al suo idolo di gioventù, “the Great One” Lonnie Donegan, l’artista scozzese che negli anni cinquanta importò nelle terre britanniche lo skiffle, l’arte povera dei braccianti neri del delta del Mississippi di fare musica da festa con strumenti di fortuna (pettini, kazoo, tubi, washboard), adattandolo alle esigenze del proletariato delle città industriali e portuali del nord dell’Inghilterra e dell’Irlanda.

Moving on Skiffle trasmette l’entusiasmo di Van Morrison

Qui, accompagnato da una serie di musicisti strepitosi, Van the Man riprende una serie di classici, la maggior parte di quali sono traditionals, nel tempo interpretati da parecchi nomi che il nostro uomo ha sicuramente amato e venerato (Hank Williams, Leadbelly, Woody Guthrie, Carter Family, Johnny Cash) e che oggi ti butta addosso con la sapienza dei suoi settantotto anni e l’entusiasmo della sua giovinezza.

Il Belfast Cowboy si diverte, si sente, esce dai solchi la gioia di cantare queste canzoni ed è una gioia contagiosa, ti rimescola sangue, ti fa ondeggiare le anche con una forza a cui è francamente impossibile resistere. Perché queste canzoni hanno un’anima profondamente blues, parlano sì di schiavitù, povertà, oppressione e catene, ma sono intrise di swing, sono musiche da ballare e con cui fare festa, come facevano gli schiavi del Delta, al termine delle loro infernali giornate. E questo contrasto tra testi e musica è reso in modo stupefacente dalla sempre incredibile voce del nostro uomo, una voce che a sentirla ti lascia ancora una volta senza fiato, a maggior ragione oggi che come visto le primavere passate sono quasi ottanta, ma come sempre riesce a graffiarti per poi venirti un secondo dopo in soccorso a leccarti amorevolmente le ferite, una voce che ti culla, ti scuote, ti spoglia e ti lascia tramortito.

Il meglio arriva dopo oltre un’ora

Impossibile veramente scegliere i migliori dei ventitré brani per un’ora e mezzo di musica strepitosa contenuti in questo mirabile Moving on Skiffle (Exile); giusto per dovere si può pescare l’iniziale Freight Train che detta subito le coordinate emotive del disco, washboard, armonica e organo a portarti sul treno lanciato nella pianura del sud degli Stati Uniti di inizio secolo, una In The Evening When the Sun Goes Down che ti culla al tramonto sui campi di cotone, una Oh Lonesome Me, con un celestiale intarsio di elettrica, e poi il clamoroso trittico finale, Worried Man Blues, il picco del disco, dove il doloroso canto dell’uomo in catene, si mischia in modo stupefacente a un ritmo sbarazzino e inebriante (provateci voi a stare fermi, io mi sono arreso subito), Cotton Fields con il suo gioco di rime irresistibile (“It was down in Louisiana, just about a mile from Texarkana”) e l’elegia finale di Green Rocky Road, con un violino capace di strapparti il cuore dal petto e un canto perennemente in bilico tra il sussurrato e l’impetuoso che lascia attoniti.

Disco come detto splendido, da ascoltare come e dove volete, non necessariamente in cuffia sull’impianto di casa (anche se così si scoprono i piccoli tesori nascosti nelle pieghe dei diversi brani) ma anche in macchina, o di sottofondo mentre si prepara la cena ballando o si chiacchiera con amici; certo, come detto in questa musica non c’è nulla di nuovo, però francamente è inutile pensare che il Grande Antipatico possa offrirci a questa età cose nuove al livello di Astral Weeks; è chiaro che qui sul tavolo c’è molto mestiere, ma anche un’anima di artista che conosce a menadito le pulsazioni di questa musica, che nasce nel Delta e che questo incredibile artista riesce a fare sua, colorandola della polvere e della pioggia di Belfast, restituendoci una piccola tempesta di emozioni tra sorrisi e lacrime.

Van Morrison – Moving on Skiffle
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Classe 1965, bolzanino di nascita, vive a Firenze dal 1985; è convinto che la migliore occupazione per l’uomo sia comprare ed ascoltare dischi; ritiene che Rolling Stones, Frank Zappa, Steely Dan, Miles Davis, Charlie Mingus e Thelonious Monk siano comunque ragioni sufficienti per vivere.

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