È tutto “troppo” in Once Twice Melody dei Beach House

L’idea originaria era scrivere la recensione più breve nella storia di Tomtomrock, ovvero: “zzzz”. Poi è prevalsa la responsabilità di una disamina più articolata…

Once Twice Melody (Sub Pop) è indiscutibilmente il magnum opus dei Beach House. pubblicato in quattro parti poi riunite in un lungo album di 19 brani per un’ora e 24 minuti di durata. A questo punto si palesa spontaneo un (cattivo) pensiero che conduce indietro nel tempo a un altro magnum opus, Tales from Topographic Oceans degli Yes (il quale, en passant, durava tre minuti in meno). Lì si trattava di progressive, qui di dream pop, ovvero mondi parecchio distanti fra loro, eppure i due album sono accomunati da una medesima parola: hybris.

Beach House - Once Twice Melody

Una faticosa disamina di Beach House – Once Twice Melody

Diciamo che il duo formato da Victoria Legrand e Alex Scally, dopo aver abbastanza convinto con 7, sembra si sia fatto prendere da manie di grandezza e voglia mostrare la propria bravura nell’assimilare qualunque cosa per poi trasognarla a dovere come da ragione sociale. Si va dai magniloquenti Rush agli scabri Suicide (l’attacco con tastierina della title-track fa pensare a Cherie, sentire per credere), dai Cocteau Twins a Kate Bush. E Pink Funeral si apre con un epos sci-fi che farebbe impazzire rapper come Kanye West o Dr. Dre. Ecco, molti pezzi hanno partenze intriganti, anzi si potrebbe dire che Once Twice Melody già si candida a miglior collezione di inizi del 2022. Poi però entra in scena sempre troppa intelligenza, troppo pensiero, troppe nuvole barocche di voci e tastiere, oltre a una evidente incapacità di sfumare le canzoni a tempo debito. E alla fine, in questo perenne troppo è quasi impossibile trovare una melodia che sia una. O forse un paio ci sono, ad esempio la title-track, che lascia immaginare scenari complessivi ben più intensi di quelli che in realtà verranno, oppure Many Nights, che però entra in scena come penultima, quando ormai si sta soffocando nell’ovatta di tastiere, chitarre e voci decuplicate.

I Beach House sono interessanti, ma…

Si potrebbe dire che Once Twice Melody è comunque un album interessante (oltreché realizzato con grande cura dei dettagli). Ma si sa che molto spesso  interessante significa alla fin fine poco emozionante e, men che meno, coinvolgente. E poi sono così monodimensionali i Beach House. Per citare due teoricamente affini, non sanno  fondere elementi fra loro diversi come facevano, con folk e psichedelia,  i Mazzy Star oppure continuano a fare, con pop e malinconia, i Metronomy. Ma i Beach House, a giudicare dalle recensioni, piacciono molto più dei Metronomy e di quasi chiunque altro.

Insomma, tutto quanto si è detto fino a qui non fa che riportarci a quel suonino ambient citato all’inizio: “zzzz”.

Beach House - Once Twice Melody
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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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