Bon Iver lascia perplessi con i, i.

Tre anni fa Tomtomrock recensì in termini decisamente positivi 22, A Million di Justin Vernon/Bon Iver. Perché adesso i, i, che di quel disco è il naturale seguito, suona irritante alle orecchie del medesimo recensore?
Il fascino del precedente 22, A Milion
22, A Million era stato definito disco di folk cosmico, una fusione fra scrittura cantautoriale e suoni e voci trattati elettronicamente. Insomma un affascinante retro-future con tutti gli elementi al posto giusto. Il problema di i, i è che gli elementi restano gli stessi ma la loro fusione non produce lo stesso risultato. O forse è stato aggiunto un elemento che potremmo definire, citando Totò a colori, sicumera.
i, i non convince fin dal principio
Le parti cantate ipertrattate possono andare bene per una quindicina di minuti poi stufano e cominciano a far pensare alle testimonianze dei pentiti di mafia con le voci accelerate per impedirne il riconoscimento. Anche i suoni paiono pervasi da un’ansia da rivestimento che risulta quasi psicotica. E’ come se si volesse nascondere qualcosa che dopo un po’ l’ascoltatore si stufa di cercare. Il problema è che passa soprattutto la voglia di cercare le melodie dei pezzi che qua e là – Holyfields, Hey Ma. Il quasi inno U (Man Like) – sembrerebbero notevoli. Più spesso però si ha la sensazione che l’autotune sia stato usato anche in fase di scrittura.
Un disco senza vera intensità
Alla resa dei conti a venire prosciugata è ogni forma di emozione, ogni possibile affinità elettiva fra musicista e ascoltatore. Quando, nel corso del dodicesimo e penultimo pezzo, spunta un sassofono che suona come un sassofono si prova una sensazione di sollievo che subito lascia il posto all’irritazione di cui si diceva. Ci sarebbe voluto davvero poco, un semplice mutamento di attitudine, perché questo disco suonasse molto migliore. E non va dimenticato che nello stesso ambito di autorialità digitalizzata si riescono a ottenere risultati ben più coinvolgenti. Lo ha dimostrato poco tempo fa Kurt Wagner/Lambchop.
Ridateci chi non si compiaccia della propria intensità, ridateci chi sappia scrivere canzoni. Ridateci John Prine, Lucinda Williams e i Felice Brothers insieme e da soli, ridateci David Berman. No, lui purtroppo non è più possibile riaverlo.
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