Conor Oberst – Salutations.
Non è la prima volta che Conor Oberst pubblica due dischi a brevissima distanza. Era già successo nel 2005 con l’uscita contemporanea, a nome Bright Eyes, di I’m Wide Awake, It’s Morning e Digital Ash In A Digital Urn, una vera ‘strana coppia’ (un album cantautoriale e uno elettronico). Nel caso di Ruminations/ Salutations la storia è un po’ diversa. Il primo dei due (ottobre 2016) nasceva dall’urgenza di ripartire dopo un periodo difficile: la diagnosi medica di una cisti al cervello, le cure, le preoccupazioni, quindi il ritiro in montagna per scrivere in tranquillità, e registrare, in piena solitudine, dieci canzoni circondate da un alone di malinconia e dolore.
Conor Oberst rilegge (bene) se stesso
Queste stesse canzoni vengono riproposte in Salutations, riarrangiate per full band. I Felice Brothers, garruli come i loro nome, accompagnano Oberst nella rilettura, mentre sullo sgabello della batteria siede un monumento degli studi di registrazione americani, il grande Jim Keltner (ha suonato con chiunque, da Ry Cooder a Neil Young). I Felice Brothers e Keltner rivestono le canzoni di un tessuto sonoro che rimanda a quello di un’altra band (con la B maiuscola), quella che accompagnò Bob Dylan in tante occasioni.
Se Ruminations era spettrale, Salutations suona più sereno
Fisarmonica, violino e un piacevole furore elettro-acustico migliorano le canzoni che già conoscevamo in veste più semplice dando un tocco spensierato anche ai sette nuovi brani di Salutations. Se questi ultimi cozzano un po’ con la continuità del progetto, può essere a causa della familiarità con il disco precedente, quindi, per chi non conosca nessuno dei due, sarà più opportuno l’approccio all’indietro. Ad aiutare Oberst ci sono stavolta anche alcuni ospiti d’eccezione come Jonathan Wilson, Gillian Welch e M.Ward. Simpatico e catartico il retro di copertina, con il cantautore che viene rianimato dai compagni a bordo piscina, mentre Jim Keltner sembra intento a chiamare il 118…
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