Dave Rowntree, batterista dei Blur, esordisce infine come solista con Radio Songs
Ma perché il disco di un batterista deve per forza essere una cosa minore? Oppure un vanity project? Forse perché resta viva l’idea risalente all’epoca classic rock secondo cui chi sta dietro ai tamburi pesta e non pensa (e in effetti Keith Moon…). La faccenda è un po’ cambiata con i batteristi-diventati-star-senza-più-batteria tipo Phil Collins e Dave Grohl o con l’avvento fra charleston e tamburi di personaggi dallo charme assai intellettuale tipo Richard Colburn di Belle & Sebastian. Tuttavia, l’assioma che il batterista non sia proprio un musicista in qualche modo perdura.
Destino e nomea dei batteristi
Ma veniamo a Dave Rowntree iniziando con un ricordo ormai lontano nel tempo. Nel 1999, quando ancora l’industria rock largheggiava in aerei gratuiti e prebende, venni inviato a Londra insieme ad altri colleghi italiani per intervistare i Blur in occasione dell’uscita dell’album 13. Il frontman Damon Albarn appariva interessante e un po’ svagato, il bassista Alex James solo svagato, il chitarrista Graham Coxon meditativo-malinconico. Quanto al nostro Dave Rowntree, in quanto batterista quasi nessuno di noi se lo filò e a un certo punto lo vedemmo andare via tranquillo con zainetto in spalla, Negli anni seguenti scoprimmo che il presunto tipo non interessante era un appassionato di voli spaziali, si occupava di animazione computerizzata e poteva contare su una lunga carriera politica all’interno del partito laburista (invero con diverse sconfitte nel suo cv).
Nonostante i preconcetti il disco di Dave Rowntree non delude
Oggi, all’età di 59 anni, Rowntree si propone infine in veste di autore in proprio. Forse per confermare che certi preconcetti sono duri a morire, Radio Songs ha ricevuto recensioni tiepide oppure paternalistiche del tipo – ma senza dirlo esplicitamente – “per essere un batterista ha fatto fin troppo”. In realtà si tratta di un lavoro delicato, pensoso, intelligente che deve qualcosa ai Blur solo nell’unico momento che suona davvero come una radio song, vale a dire London Bridge, Semmai sono più frequenti i momenti vicini al Damon Albarn solista, ad esempio nei toni sospesi e paesaggistici di Volcano.
C’è una dimensione spesso nostalgica in queste canzoni, come d’altronde suggerisce il vecchio apparecchio radiofonico in copertina, di quelli che ogni tanto, girando la manopola, ti facevano ascoltare voci lontane, magari in lingue misteriose. Ed ecco che uno dei momenti melodicamente meglio riusciti, la dolente Black Sheep, fa pensare addirittura a una specialista di evocazioni remote e trasognate, Lana Del Rey. Mica male per un batterista.
Intanto si avvicina il ritorno dei Blur
Infine una considerazione e una speranza per chi ha amato i Blur. In questi ultimi mesi Graham Coxon ha impressionato con la lounge obliqua del progetto The Waeve, Damon Albarn ha dato una dimensione più sostanziosa ai Gorillaz in Cracker Island e del disco di Dave Rowntree si è appena detto. Anche se poco si sa di Alex James (ma pare continui a essere svagato), c’è materia a sufficienza per augurarsi che l’imminente reunion del quartetto vada oltre l’attesissimo concerto dell’8 luglio allo stadio di Wembley.
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